Cronaca

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Nell’attuale dibattito in tema di intercettazioni telefoniche, di indubbia rilevanza, pare opportuno osservare che l’esigenza di una nuova regolamentazione nasce prevalentemente dal mancato rispetto della disciplina che è stata ed è tuttora in vigore.

Le registrazioni, disposte nei limiti di ammissibilità di cui all’art. 266 C.P.P. e nei presupposti e nelle forme di cui al successivo art. 267, costituivano e tuttora costituiscono atto di procedimento penale il cui contenuto – come statuisce l’art. 684 C.P. - non deve essere rivelato e pubblicato , in tutto o in parte, nemmeno per riassunto o a guisa di informazione, in ogni caso per gli atti coperti dal segreto ai sensi dell’art. 329 C.P.P. (atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza e, comunque, non oltre la chiusura della indagini preliminari) ed altresì per gli atti non più coperti dal segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare, secondo il disposto dell’art. 114 C.P.P.

La norma è stata ripetutamente impunemente violata; non è qui il caso di esemplificare anche se sarebbe indubbiamente opportuno ed utile svolgere accertamenti in proposito.

E’ invece rilevante esaminare le ragioni che possono indurre a violare la legge: innanzitutto l’interesse di chi rivela la notizia destinata a non essere pubblicata, spesso - si presume - di natura economica, ma anche di natura non economica (non escluso un desiderio di protagonismo o una motivazione politica); accanto ad esso l’interesse dell’organo di stampa che divulga la notizia, conseguendo uno scoop giornalistico.

Considerato che la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale integra un reato perseguibile di ufficio, si osserva che, se non è immediatamente identificabile il soggetto che ha rivelato la notizia, è però certo il giornale che l’ha pubblicata e, conseguentemente, certa è, a mio avviso, la responsabilità del direttore responsabile, ai sensi dell’art. 57 C.P.

A fronte dell’illecito, le Procure della Repubblica dei circondari di tribunale dove hanno sede i giornali che hanno illecitamente pubblicato le notizie, avrebbero dovuto procedere esercitando l’azione penale nei confronti del direttore responsabile. Non mi risulta che ciò sia avvenuto ed auspicherei iniziative degli organi di vigilanza volte ad accertare le negligenze che hanno provocato un vero malcostume; si è infatti instaurato un circolo vizioso: da un lato gli organi di stampa che, stante la impunità, hanno persistito nell’illecito, pronti ad invocare la libertà di stampa; d’altro lato determinate Procure che non hanno promosso l’azione penale per ragioni difficilmente spiegabili ma che, qualunque esse siano state (indifferenza; volontà di non urtare il potere delle stampa; si spera non motivazioni politiche), non sembra possano giustificare l’omissione di atti di ufficio.

Si è comunque verificata una coincidenza di interessi tra organi di stampa e taluni uffici giudiziari, che ha favorito ed, anzi, determinato una situazione di illegalità, per violazione dell’art. 648 C.P. , con potenziale compromissione delle indagini giudiziarie, con frequenti violazioni del diritto alla privacy e talora anche con conseguenze su vicende socio-politiche ( basti ricordare il caso Mastella che ebbe riflessi sulla crisi del governo Prodi).

Si sente spesso sostenere che un limite alla pubblicazione delle registrazione telefoniche legittimamente disposto costituirebbe una violazione della libertà di stampa e in particolare del diritto di cronaca; ma ciò non sembra possa validamente sostenersi

1) perché fino a quando sussiste il reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale (art. 684 C.P.), non può sostenersi la libertà di violare la legge;

2) perché il divieto di pubblicazione degli atti di un procedimento penale non è stabilito a tempo indeterminato, ma sussiste, come limite massimo, sino alle conclusioni delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare (art. 114 C.P.P.);

3) perché le vicende oggetto delle intercettazioni possono esse pubblicate se si prescinde dalle notizie attinte tramite gli atti processuali, mediante le indagini svolte dagli organi di informazione.

La disciplina riguardante le intercettazioni telefoniche dovrà, a mio avviso, garantire in primo luogo la utilizzazione di tale indispensabile mezzo di indagine nel perseguimento dei reati per i quali esse sono ammesse; dovranno essere disposte norme a tutela del diritto alla privacy di coloro che non sono implicati nelle indagini; dovranno essere severamente punite le pubblicazioni arbitrarie di atti di un procedimento penale, comprese quindi le registrazioni telefoniche, sino a quando il fatto è previsto come reato dalla legge la quale - finché sussiste - va rispettata e fatta rispettare.

Altrimenti ogni possibile riforma rischierebbe di essere vana.

*Presidente onorario della Corte di Cassazione

già membro del Consiglio Superiore della Magistratura