cronaca

L'idea dello chef stellato Edoardo Ferrera e del figlio Filippo
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A Genova il sushi diventa sciûsci con i gusti della tradizione. Uno street food genovese che porta la firma dello chef stellato Edoardo Ferrera e del figlio Filippo.


Dopo aver guidato cucine dagli Stati Uniti, al Giappone passando per Germania e Francia lo chef Ferrera ha deciso di tornare nella sua città, stessa decisione da parte del figlio Filippo che nonostante la giovane età ha già lavorato in cucine di tutto il mondo e soprattutto senza farsi spaventare dalla pandemia.


Un locale aperto meno di una settimana fa, a due passi dalla cattedrale di San Lorenzo che è simbolo di speranza. Che non ci si trovi di fronte al solito sushi bar lo si capisce subito: nessun cappello di stoffa da cuoco giapponese ma il tradizionale 'camugin', il cappello blu con pon pon rosso tipico dei pescatori liguri.


Alla vista sembra il classico sushi in realtà si tratta di un vero e proprio concentrato di tradizione genovese. "Rivisitiamo il classico sushi inserendo all'interno dei piatti storici genovesi tra questi il brandacujùn, le acciughe in carpione, il polpo con le patate e la trippa classica genovese - racconta Filippo Ferrera - creiamo anche delle salse di accompagnamento come la salsa con la barbabietola, la salsa di soia con il basilico, un wasabi che ho ricreato con le fave e ho ristretto di stoccafisso".


"L'idea ci è venuta proprio per avvicinare i ragazzi ai nostri sapori - spiega Filippo - e per farlo abbiamo seguito un'idea che va di moda tra i ragazzi e usando qualche concept più simpatico".


"È stato molto divertente pensarlo ma svilupparlo è stato abbastanza complicato - sottolinea - perché alla vista il sushi può sembrare abbastanza semplice ma in realtà strutturalmente è molto complicato specialmente se vuoi inserire all'interno piatti composti diversi dal pesce crudo, quindi abbiamo dovuto rivisitare il condimento e calibrarlo e abbiamo dovuto anche utilizzare altre sfoglie perché l'alga nori su alcune cose non può andare a combaciare quindi abbiamo usato sfoglie di vegetali e soia".


Un locale gestito da un giovane con altri giovani trovarli però non è stato facile anzi. "Noto una grande differenza rispetto a qualche tempo fa - racconta - diciamo che è sempre più difficile trovare ragazzi e ragazze che abbiano voglia di intraprendere un percorso, di lavorare per un progetto o forse per abitudini diverse acquisite durante il lockdown non so ma stiamo riscontrando veramente difficoltà ad assumere personale. La cucina non è un vivere semplice è fatta di orari difficili e mille problemi, dà tante soddisfazioni ma devi dedicarci molto tempo e molta pazienza".


In mesi dove tanti locali sono stati costretti a chiudere dalla crisi provocata dalla pandemia, loro hanno aperto due locali, nell'ambito della start up 'Ingenua'. Un progetto nato dall'incontro con l'imprenditore Raoul Bollani.


Oltre al sciûsci, nell'altro locale poco distante altre due piatti che legano innovazione e tradizione: l''AnchBurger', un hamburger al nero di seppie con acciughe nostrane accompagnate dalla panissa al posto delle tradizionali patatine e il 'Scupply', una rivisitazione del classico supplì alla romana a base di scuccuzun, pesto e formaggio San Stè di Santo Stefano d'Aveto.