
La scalinata del crack è adiacente al più importante hotel di Genova, gradini che salgono verso l'alto eppure conducono tanti giovani nell'abisso più profondo, uno squallido antro da anni un angolo di terra di nessuno dove i tossicodipendenti possono fumare a riparo dagli sguardi della gente le dosi di crack acquistate nei vicini vicoli del centro storico.
Lì gli abitanti della zona per evitare di trovarsi davanti ai tossicodipendenti in crisi di astinenza che assumono stupefacenti in condizioni psicofisiche alterate non transitano quasi più, inutili sino a oggi le segnalazioni anche da parte dei commercianti e residenti per avere maggiori controlli dalle forze dell'ordine e più pulizia dagli addetti all'Amiu, che pure passano più volte al giorno: "Ormai siamo rassegnati" ammette la gente della zona.
Pochi giorni fa appena arrivato nella scalinata, a cui si accede a un archivolto affacciato sulla stazione Principe, non ho avuto neppure il tempo di estrarre il telefonino per scattare una foto ed è arrivato un giovane, sui vent'anni, di bell'aspetto, alto, biondino, occhi chiari, pulito, ma con il viso sofferente, gli occhi lucidi, alla vista dello sconosciuto che era lì ha chiesto con determinata gentilezza: "Mi scusi mi lasci solo per favore...".
Non ha spiegato perché, non aveva bisogno di farlo, per capire bastava guardarsi intorno. Mi sono allontanato, dicendogli perché ero lì e poche altre parole: "Certo, scusami tu, non volevo disturbarti". Perché sapevo che quello non era il mio posto ma il suo.
Nel frattempo è arrivato una ragazza, forse la fidanzata, che quando ha capito perché mi allontanavo ha redarguito il ragazzo come a scusarsi: "Ma come ti permetti, questa è una strada pubblica...?". L'ho subito interrotta dicendole: "Lascia stare, lui sta male ora". Lei ha capito, io mi sono allontanato e li ho lasciati soli.
Ma sono rimasto in zona perché volevo parlare con quei due ragazzi.
Così è stato, anche se lui sembrava unicamente interessato ad avere qualche soldo, "devo restituire un debito sennò mi ammazzano di botte" ha esagerato, un cliclè a cui sono abituato frequentando per lavoro e non solo gli ambienti malati dei tossicodipendenti.
Poi, fra una richiesta e l'altra, siamo riusciti a parlare ed entrare in confidenza, ed è emerso che entrambi sono disperati perché avevano - assicurano - inutilmente provato a smettere di drogarsi affidandosi al Serd della Asl e a una comunità.
Così per fornirgli un'altra possibilità, una terza via, mi sono offerto di metterli in contatto con uno dei gruppi di mutuo aiuto per persone con dipendenze che esistono in città, esperienze determinanti per uscire dal tunnel per molti intervistati dalla rubrica "Michè" che conduco da anni per Primocanale.
Ma lui era troppo assorto nei suoi problemi, nella necessità di trovare subito altri soldi, per comprare altra droga, "la mia famiglia mi ha cacciato di casa, avremmo bisogno dei soldi per una stanza d'albergo per riprenderci un po'" ha detto per reiterare la richiesta di denaro.
Lei invece ha scritto il mio numero di telefono su un pezzo di carta. "La richiamo, grazie dell'aiuto, si vede che lei è una brava persona", scaldandomi il cuore con poche parole.
Ma non ha voluto darmi il suo numero, "il telefono non mi funziona", e io ho il presentimento che non mi chiamerà mai.
Così mi sono allontanato con il cuore piccolo piccolo dai due ragazzi, così belli ma così terribilmente persi in una vita in balia di un mostro che non riescono a domare, due anime sole e che hanno bisogno ogni giorno di rifugiarsi lì, nella scalinata del crack a pochi metri dall'hotel a cinque stelle addobbato per Natale dove la vita invece sembra un film di Natale, con bellissime famiglie da copertine patinate vestiti con abiti griffati che entrano ed escono con il portiere che gli apre le porte e il facchino che gli porta le valige.
Due mondi opposti a pochi metri di distanza.
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