cronaca

A un quarto di secolo dal delitto lo svela a Primocanale il procuratore Cozzi: "Faremo nuove analisi sui reperti"
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Dopo un quarto di secolo grazie alle nuove tecniche dei super investigatori dell'Ufficio centrale della scientifica di Roma usate per i Cold Case viene riaperto il delitto della segretaria uccisa a soli 24 anni il 6 maggio 1996 a Chiavari nello studio del commercialista in cui lavorava, al secondo piano del civico 14 di via Marsala.


La clamorosa notizia della riapertura del caso è svelata a Primocanale dal procuratore Francesco Cozzi. Fra le novità che hanno convinto la procura a chiedere la riapertura del caso ci sarebbe il rilevamento di una chiazza di sangue non identificata sulla parete dello studio dove venne trovata agonizzante Nada Cella che poi morì dopo poche ore all' ospedale San Martino.

Il sangue conterrebbe filamenti di dna misti, di una femmina e di un maschio, con prevalenza però di quelli femminili.

Le comparazioni già svolte con il sangue della vittima e anche della mamma e della zia di Marco Soracco, il commercialista per cui Nada lavorava, ma anche con la donna delle pulizia dello studio avrebbero dato esiti negativi, come rivela a Primocanale lo stesso Soracco, forse anche per via della scarsa consistenza del reperto.

Per questo si spera che la svolta arrivi dalle nuove comparazioni che saranno svolte dalla scientifica di Roma.

Il procuratore Cozzi conferma le nuove analisi ma di più non dice, non risponde soprattutto alla domanda se esiste la macchia di sangue con un dna femminile che non appartiene a Nada Cella: "Non posso dirlo, dico solo che sono state riaperte le indagini in quanto per aggiornamenti delle tecniche sono emerse delle nuove possibilità di analisi, perché la scienza va avanti e perchè ora di sono possibilità tecniche e di analisi su reperti che prima non si potevamo analizzare".

Non è la prima volta che il caso viene riaperto
per riesaminare i vecchi reperti con tecniche scientifiche.

L'omicidio di Nada Cella avvenne la mattina del 6 maggio 1996 al secondo piano dello stabile di via Marsala 14
, sede dello studio di commercialisti presso cui la ragazza lavorava come segretaria da 5 anni.

L'aggressione avvenne fra le 8,50 e le 09,10,
senza segni di effrazione su porte e finestre e nessuna traccia di colluttazione o lesioni da difesa, come se la vittima non avesse avuto tempo di rendersi conto di cosa le stesse succedendo.

Sul corpo della giovane tre lesioni: pugni o calci, alcune traumatiche provocate da corpo contundente, un posacenere, un fermacarte oppure un trofeo, un'arma impropria mai ritrovata.
Letale alla giovane fu una frattura alla testa, forse provocata dall'urto contro il pavimento.

Nada agonizzante, ma ancora viva, venne trovata dal suo datore di lavoro, il commercialista Marco Soracco, che quel giorno giunse in ufficio con una decina di minuti di ritardo, intorno alle 09,12, trovò la porta chiusa normalmente solo con la cricca e la luce del vano ingresso accesa, quindi pensò che ci fosse qualche cliente, perché quella luce rimaneva sempre spenta quando in studio si trovava solo il personale.

Soracco entrò nel suo ufficio, il primo sulla destra dopo il vano ingresso e subito suonò il telefono, egli rispose dopo alcuni squilli, parlò con la cliente e dopo aver riattaccato andò verso l'ufficio in uso a Nada per capire come mai non avesse risposto lei, entrando sentí uno strano respiro rantolante e poi la vide a terra supina, in un lago di sangue, con la testa a sfiorare la parete, i piedi scalzi, senza i mocassini che indossava quella mattina, gli occhiali a terra e la borsa sotto alla scrivania.

Il commercialista si avvicinò per capire cosa fosse successo, toccò il viso di Nada, sporcandosi del suo sangue e si spostò nell'ufficio in uso alla praticante dello studio Paola Mazzini, che sarebbe arrivata al lavoro circa 15 minuti dopo, per chiamare i soccorsi, erano le 9,15.

L'orario è stato confermato dai tabulati telefonici del 113, infatti Soracco non avendo a disposizione il numero delle ambulanze (nel 1996 non era stato ancora unificato in 118) aveva composto il 113, chiedendo aiuto con voce concitata perché la sua segretaria respirava male e perdeva sangue, subito dopo telefonò a sua madre, che abitava con lui al piano superiore allo studio.

I soccorsi arrivarono alle 9,20 e si trovarono davanti a Nada distesa a terra supina, scossa da brividi in tutto il corpo, con gli occhi spalancati e sangue copioso che fuoriusciva da bocca, orecchie e dalle varie ferite sul volto e corpo, alle 09,30 l'ambulanza giunse al Pronto Soccorso di Lavagna.

Dopo alcuni disperati tentativi di salvarle la vita alle 11,30 Nada viene trasferita prima all'ospedale di Lavagna e poi al San Martino di Genova, dove, dopo un ultimo vano tentativo di rianimazione, morirà alle 14,10.

È stato difficile indagare fin dal principio perché la scena del crimine fu alterata prima dai soccorritori per posizionare Nada sulla barella spinale e poi da Marisa Bacchioni, madre di Soracco che, nota per essere una maniaca della pulizia, lavò, dopo essere passata a casa sua a recuperare l'occorrente, il vano ingresso dello studio, e le scale del palazzo, che si erano imbrattate del sangue di Nada per tutto il percorso della lettiga fino all'ambulanza.
Soracco e la madre avevano pensato ad un caduta accidentale in seguito a un malore come un ictus, e nemmeno i soccorritori avevano subito capito cosa fosse successo.

Secondo il medico legale l'assassino durante l'aggressione si macchiò con gli schizzi di sangue
di Nada almeno sul tronco e sull'arto superiore utilizzato per infierire sulla vittima, infatti come testimonio' una condomina residente nell'appartamento sottostante lo studio, si udì scorrere così a lungo e abbondantemente l'acqua del rubinetto del bagno dello studio da destare in lei stupore.

Le uniche vie di fuga possibili dallo studio
erano scale e ascensore, dentro il quale infatti fu rinvenuta una macchia del sangue di Nada.

Un'altra traccia è un bottone ritrovato vicino al corpo, poteva appartenere a un capo di jeans, o a un cardigan probabilmente femminile.

La prima persona a essere iscritta nel registro degli indagati fu Marco Soracco, ipotizzando che fosse un corteggiatore respinto, ma lui ha sempre negato di essere stato attratto da Nada in quanto la ragazza timida e schiva era troppo simile a lui. Dichiarò inoltre di non aver mai avuto particolare confidenza con lei perché tra loro parlavano esclusivamente di lavoro, e di non sapere nulla della di lei vita privata.

Le indagini e le perquisizioni nelle proprietà di Soracco non portarono a nulla ed egli dopo un anno uscì ufficialmente dall'inchiesta.

Un'altra persona indagata fu una condomina dello stabile, Luciana Signorini, paziente psichiatrica, ma venne in breve tempo scagionata perché, oltre a non aver un movente, aveva un alibi.

Indagini furono svolte anche su un ex fidanzato di Nada, ma aveva un alibi di ferro ed era stato lui a troncare la relazione con la ragazza.

L'unica cosa certa è l'orario dell'aggressione perché una condomina abitante al piano di sotto, Liliana Lavagno, allora settantenne, poi deceduta, mentre era in cucina udì un tonfo violento (che potrebbe essere proprio il colpo contro la superficie piana che appiattì addirittura il cranio della vittima) alle 9,01. Subito dopo aveva sentito il rumore di qualcuno che scendeva le scale e usciva dal portone del palazzo, che però non veniva chiuso, forse perchè lasciato aperto dal lavascale.
La donna era certa dellʼ orario perché in quel momento stava guardando lʼorologio. La Lavagno raccontò anche che Nada Cella di solito arrivava in ufficio alle 9, ora in cui alzava le tapparelle dello studio. La conferma, come poi avvalorato da altre indagini, che quella mattina Nada era andata a lavorare prima del solito e senza dirlo al commercialista.

Nell'appartamento al fianco dello studio vivevano due coniugi, Francesco Bucello e Porzia Cirigliano, ora deceduti, con il figlio finanziere, Giovanni Bucello, che pare all'ora del delitto stesse dormendo perchè rientrato dal turno di notte. L'uomo venne interrogato più volte perchè dopo essersi svegliato aveva portato la divisa in lavanderia.

I coniugi Colli, Alessandro e Stefania Rombolini, che abitavano sopra lo studio invece dissero di non avere sentito nessun rumore strano.

Alle 9,05 però Alessandro Colli  uscí dal suo appartamento, al terzo piano, utilizzò l'ascensore in discesa per uscire e trovò il portone dello stabile regolarmente chiuso, ma rendendosi conto di essersi dimenticato alcuni documenti fece dietrofront e, trovando l'ascensore occupato, forse dall'omicida, risalì a piedi, incrociando altri due condomini, i coniugi Edoardo Roggero e Emana Rollero (fra i pochi che abitano ancora nel palazzo come Soracco e la sua mamma). I tre non notarono nulla di insolito o sospetto.

Per il resto, eccetto al rumore di acqua, nessuno ha udito o visto nulla di anomalo; i giornali allʼepoca soprannominarono lo stabile come "palazzo dei ciechi e dei sordi", considerando anche lʼorario decisamente insolito per commettere un assassinio, e, il viavai che cʼera quella mattina: lʼaddetta alle pulizie degli spazi comuni condominiali di prima mattina, il finanziere che tornava dal turno di notte che poi portò la divisa a lavare in lavanderia, una mamma che aveva portato il figlio dalla nonna, chi usciva col cane e chi usciva per compere.

Analizzate anche alcune telefonate arrivate allo studio Soracco nei minuti del delitto. Allʼultima di queste, rispose proprio il Soracco, che aveva già trovato Nada e chiamato i soccorsi, come spiegò alla persona allʼaltro capo del telefono, per liquidarla rapidamente vista la situazione.

Questa donna era una cliente dello studio, la quale aveva telefonato altre 2 volte prima e una voce femminile, non giovane, ma con maleducazione, entrambe le volte le disse di aver sbagliato numero, non si è mai saputo chi fosse quella donna, ed è praticamente certo che la cliente non abbia mai sbagliato il numero, che teneva scritto sulla rubrica della sua agenda.


Quasi certamente, Nada conosceva il suo aggressore.
Forse era un frequentatore abituale del palazzo e per questo passato inosservato, anche se non si sa come abbia fatto a liberarsi dei vestiti imbrattati di sangue e dell'oggetto utilizzato come arma.

Le indagini erano state avviate dall'allora dirigente del commissariato di Chiavari Pasquale Zazzaro e dal capo della sezione omicidi della squadra mobile di Genova Giuseppe Gonan.
Nello studio furono rinvenute molte macchie di sangue: sulle pareti, sulla tappezzeria
, sui mobili. Sotto la scrivania c'era il bottone, di metallo e color bronzo, sporco di sangue, da sempre fra i reperti da ritenuti più importanti, forse di un indumento femminile, come il sangue non ancora identificato.

A questo bottone è legata anche un'altra pista vagliata tempo dopo e portava a una famiglia di albanesi che viveva nel palazzo di Nada Cella, in via Piacenza, nella periferia di Chiavari: pare che Nada avesse scoperto che gli uomini sfruttassero una donna e per questo poteva essere stata uccisa, ma le indagini non arrivarono a nulla.

Anni dopo però alcuni di quegli stranieri finirono nell'inchiesta della mafia albanese del Kanun che faceva affari appunto sfruttando la prostituzione. Insomma un altro punto interrogativo.
Si racconta che la stessa mamma di Nada, Silvana Smaniotto, per accertare se i vicini di casa potevano essere collegati al delitto, un giorno si trasformò in detective controllando se dagli abiti stesi ad asciugare ci fosse un giubbotto senza un bottone.