Si è intanto deciso di coinvolgere il dipartimento nazionale di protezione civile, sia per effettuare le analisi tecniche, con l'aiuto della Fondazione Cima, e l'università di Firenze, ma si pensa anche per l'intervento a mare di coinvolgere forze della difesa: "Ci sarà un sopralluogo dei Comsubin (si tratta del raggruppamento subacquei e incursori della Marina Militare), per capire se l'intervento a mare può essere fatto dalla difesa stessa" ha detto Giampedrone.
La base Comsubin ha inoltre la sua sede nella base navale "Teseo Tesei" della Marina Militare della Spezia, che ospita appunto il comando subacquei e incursori. "Bisogna lavorare sul fronte di frana come se sotto ci fossero delle persone vive. La forza dello stato è quella di massima competenza e spero che questo sopralluogo possa avere esito positivo anche per la delicatezza delle immagini, perchè si tratta di dover scavare sotto 70 mila metri cubi di macerie e dover recuperare feretri, salme, tutto ciò che è recuperabile, nella speranza che il mare resti calmo, per poter operare" ha spiegato Giampedrone.
Sono state intanto identificate le prime salme ripescate dal mare, 10 feretri su circa duecento, gli altri sarebbero rimasti sotto le macerie del crollo. Intanto la Procura ha aperto una inchiesta per frana colposa al momento contro ignoti. "La frana che ha interessato il cimitero di Camogli è una delle manifestazioni dell'instabilità che caratterizza la costa tra Portofino e Genova in diversi tratti. Le cause sono ascrivibili alla dinamica delle falesie e all'instabilità che caratterizza i versanti: il moto ondoso erode la base delle falesie determinandone l'arretramento e particolari condizioni geologiche inducono una maggiore predisposizione al dissesto". Lo ha dichiarato Guido Paliaga, geologo, presidente della sezione Liguria della Società Italiana di Geologia Ambientale che ieri è stato sul luogo della frana.
Per Paliaga è necessario "monitorare il territorio: la tecnologia permette l'impiego dei dati satellitari, ove possibile, i quali insieme alle tecniche tradizionali permettono al geologo di comprendere le dinamiche in atto e valutare quindi li grado di pericolo". Il secondo passo è "individuare i siti maggiormente esposti al rischio ed intervenire con tecniche di mitigazione ove possibile - ha continuato Paliaga - realizzando quindi una scala di priorità. Dove per ragioni tecniche non è possibile intervenire, è indispensabile procedere alla delocalizzazione degli elementi esposti: edifici, strade e, se è il caso, anche cimiteri".
IL COMMENTO
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