cronaca

L'infettivologo: Credo all'evidenza scientifica non a dottor Google o Facebook"
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"A oggi dati scientifici di grande spessore a favore della cura del plasma per curare i pazienti affetti dal Coronavirus non ce ne sono. Addirittura ci sono alcuni articoli che dimostrerebbero come il plasma non abbia impatto su mortalità e durata dei sintomi. Amo fare la medicina basata sull'evidenza e non la medicina di dottor Google o di Facebook" Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie Infettive dell'ospedale San Martino di Genova parla della terapia che si sta utilizzando a Mantova e Pavia per curare i pazienti Covid sfruttando il plasma dei guariti.

Il plasma è la parte più 'liquida' del sangue, è composto da acqua, proteine, nutrienti, ormoni, quindi senza elementi corpuscolati (ossia globuli rossi, globuli bianchi e piastrine). Per questo è di colore chiaro e non rosso e contiene una quota di anticorpi che si sono formati dopo la battaglia vinta contro il virus, i cosiddetti anticorpi neutralizzanti, che si legano all'agente patogeno e lo marcano. Tuttavia esistono due problematiche ulteriori. La prima è la disponibilità; la seconda è che le proteine che contiene devono essere compatibile con l'individuo a cui si fa l'infusione.

Il direttore della clinica di Malattie Infettive del San Martino spiega ancora: "Non dimentichiamoci che possono esserci degli effetti positivi (nell'utilizzare il plasma ndr) ma anche aspetti non del tutto positivi perché potrebbero esserci delle reazioni immunomediate. Sul plasma inoltre non sappiamo bene ancora quale utilizzare, per esempio non sappiamo quanto è il numero di imminoglobuline che devono essere somministrare. Ci sono tanti lati che sono ancora in corso di studio. Non ci sono sufficienti elementi per utilizzare questo presidio al di fuori di studi clinici. In tutta la letteratura internazionale ci sono poco più di 25 casi tratti. Per riuscire a stabilire l'efficacia di una procedura servono degli studi che dimostrino che il presidio A è meglio del presidio B, questo è fare ricerca scientifica seria. Ci tengo a precisare, non sto dicendo che non funzionerà, sto dicendo che non ci sono al momento elementi sufficienti per poter dire che è la soluzione del problema del Coronavirus" spiega Bassetti.

I numeri in Liguria e nel resto d'Italia danno segnali incoraggianti. Diminuiscono gli attuali positivi e soprattutto diminuiscono gli ospedalizzati e anche il personale sanitario oggi può respirare dopo due mesi intensi di lavoro praticamente senza sosta. Anche le terapie intensive si stanno svuotando. La Fase 2 è partita e i cittadini si stanno abituando a un diverso e nuovo modo di vivere la quotidianità.  "E' evidente che i numeri che abbiamo al San Martino sono decisamente minori rispetto a quali di tre quattro settimane fa - spiega ancora Bassetti -. Ormai abbiamo poche decine di pazienti e soprattutto oggi arrivano al massimo uno-due pazienti positivi al Coronavirus al giorno. Ha perso la sua potenza iniziale ed è legato a una fase di discesa. Speriamo che tutti i cittadini mantenendo le misure raccomandate possano permettere di mantenere il trend per tre quattro settimane e quindi di poter dire ai primi di giugno che questo focolaio epidemico è stato controllato".

Tuttavia la possibilità che il problema si ripresenti in autunno e inverno non è una ipotesi da scartare e lo conferma anche l'infettivologo genovese che mette tutti in guardia: "Noi dobbiamo mantenere una struttura organizzativa dei nostri ospedali in modo che se dovesse tornare saremo pronti e non farci dunque trovare impreparati. Le strutture di malattie infettive devono restare, dobbiamo preparare i piani pandemici, dobbiamo mantenere tutto quello che abbiamo fatto correndo in questi mesi e non dobbiamo smobilitare quanto nel passato è stato fatto".

Con l'avvio della Fase 2 le strade sono tornate gradualmente a popolarsi ma ancora un certo sospetto rispetto alla persona che si trova davanti resiste. Anche su questo il professor Bassetti è chiaro: "A oggi c'è una certa psicosi da parte di tutti i cittadini, è evidente. Dobbiamo tornare a guardare il nostro vicino non come un possibile untore ma come una persona. Il rischio all'aria aperta è decisamente minore rispetto ai luoghi chiusi. Ci vorrà tempo per uscire dalla logica della paura di contagiarsi che molti hanno, credo ci vorranno mesi o addirittura anni" conclude.