A Genova conosciamo il valore del silenzio, correlato alla forza dei fatti. Il disastro del Morandi esige concretezza, non discolpe oblique che, nell’inerzia del tempo e della superficialità diffusa, diverrebbero rivendicazioni a difesa dell’indifendibile.Il ponte non è crollato per destino, ma per evidenti carenze gestionali e manutentive su cui andranno tratte tempestive conseguenze.
I tempi dei processi penali, doverosamente da rispettare, non sono quelli della politica e dell’alta amministrazione: qui servono scelte rapide, commisurate alla necessità di Genova e della Liguria di tornare a disporre quanto prima della propria storica colonna vertebrale infrastrutturale, presupposto di una serie ormai indifferibile di opere funzionali al rilancio dell’economia locale.
In tutto questo la concessionaria deve adeguarsi alle scelte delle istituzioni, non certo condizionarle con campagne mediatiche o cavilli avvocateschi, segni di una strategia fino in fondo egoista e del tutto disattenta al bene comune.
Genova divenne Superba perché i suoi grandi imprenditori e mercanti e banchieri avevano saputo perseguire, accanto al particolare, l’utile collettivo. Una lezione perduta e da riscoprire. In silenzio, lasciando parlare i fatti.
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