politica

Un primo cittadino non certo estroverso
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Ricordate quella vecchia canzone in francese di Charles Trenet, poi riecheggiata per tante generazione, che si chiede cosa resta dei vecchi amori? Que reste-t-il - dice la canzone, tentando un bilancio di una vita sentimentale. Siccome in politica e sopratutto in quella amministrativa è difficile, se non impossibile, parlare di amore, a me viene, invece, in mente, con quella musica nelle orecchie, di chiederci molto più prosaicamente che cosa ci resterà di Marco Doria, il nostro sindaco uscente, dei suoi cinque anni a Palazzo tursi. Que reste-t-il?

La domanda ci azzecca poco con la stretta attualità, che si è già divorata Doria, i suoi cinque anni, la sua anche un po' rapida, anche se da lui stesso rallentata, uscita di scena, nella frenesia di una campagna elettorale così confusa e divisiva. Ma dovremo pur fermarci un momento e chiederci che cosa ci lascia questo sindaco, rimasto in sella cinque anni, eletto un po' a sopresa nel 2012 dopo avere sconfitto Marta Vincenzi e Roberta Pinotti in quelle micidiali Primarie, che hanno scottato il Pd?

Cosa rimane del suo tentativo di governare, tenendo insieme il centro sinistra alla sinistra-sinistra, sbucando un po' come un Ufo in quella vecchia campagna elettorale, sponsorizzato da un gruppo di amici, alcuni dei quali poi prematuramente scomparsi, come Andrea Gallo e Paolo Arvati, il prete da marciapiede e lo statistico, re dei numeri?

E' sempre difficile tirare il bilancio di una sindacatura, sopratutto se ne siamo così a ridosso e se la cronaca brucia ancora. In fondo per che cosa ricordiamo Beppe Pericu, che regnò dieci anni e si legò alle opere del G8 a quelle del 2004, cercò di risolvere il caso dell'Amt e recuperò la Darsena in porto e realizzò la Fiumara? E la povera Marta Vincenzi, che cercò di essere “discontinua” e che ingiustamente sarà ricordata solo per quella terribile sciagura dell'alluvione, delle scuole lasciate aperta e della sua per ora durissima condanna penale?

Ricordiamo il sindaco-giudice Adriano Sansa, sopratutto per la sua battaglia contro il dissesto idrogeologico e, andando indietro nel tempo, Romano Merlo per l'inaugurazione dell'Expo del 1992 e il pasticcio dei biglietti, che provocò le sue dimissioni e Claudio Burlando per il suo clamoroso e poi ingiusto arresto. L'amministrazione di una città oggi è, in tempi difficili di tagli di bilancio, di finanze dissestate, di povertà crescenti e di insicurezze globali, “liquida” come la società di Baumann. Cerchi invano i segni “forti” di una amministrazione, cerchi, appunto cosa resta, que reste-t-il e fai fatica a trovarlo.

Nel caso di Marco Doria, un sindaco non certo estroverso, un po' rigido nel suo aplomb di difesa dei diritti e della legalità prima di tutto, nella sua indisponibilità a ogni cedimento mediatico o vagamente demagogico, quel che resta non sono certo i segni forti nel corpo della città. E' stato coerente con il suo programma, che era drasticamente contrario a grandi opere. Della gronda, che “grondava” polemiche al suo insediamento e alla quale era contrario, praticamente non si parla quasi più.

Il Terzo Valico è avanzato, ma perchè il Governo, attraverso il Cipe, ne ha finanziato quasi tutti i lotti. Il sindaco uscente si è speso per il Blue Print di Renzo Piano, ma poi si è infilato nei meandri di un bando pubblico che non ha trovato vincitori. E questo passaggio è un po' come la sintesi del suo mandato: finalmente c'è un orizzonte, ma non lo raggiungiamo perchè la procedura legale ci ferma prima. E la legalità viene prima di tutto.

Que reste-t-il? Sicuramente le opere per metterci in sicurezza dai disastri alluvionali. La copertura del Bisagno, finalmente riappaltata e in esecuzione e lo Scolmatore del Fereggiano, che cammina nel ventre della città ed è a circa un anno dalla conclusione, sono opere che porteranno storicamente la firma di Marco Doria, anche se non ne è l'unico ed esclusivo fautore.

La memoria è sempre corta e i bilanci di realtà complesse, come l'amministrazione di una grande città, quale Genova è ancora, sono difficili e spietati. I nemici ricorderanno Doria per la gestione del mercatino abusivo di Turati, trasferito a Quadrio, per i cinque giorni di blocco durante lo sciopero Amt, per il pasticcio finale del caso Amiu-Iren, per una perdita di forza genovese in Iren, per qualche brutta figura nelle nomine alla Compagnia di San Paolo, più in generale per una grande difficoltà nella gestione delle società partecipate.

Que reste-t-il? Forse quella condizione di isolamento che lo stesso Doria ha pubblicamente denunciato, confessando di essersi sentito abbandonato dai “corpi intermedi”. Ecco, alla fine rispetto alla città in generale il segno che resta è di un sindaco “solo”, portato sul trono di Tursi da un gruppo di amici, che poi si sono ridotti o un po' allontanati, che volevano una svolta e non sono riusciti a imprimerla definitivamente.