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Faccia a faccia a Macaia su Primocanale
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Un faccia a faccia senza esclusione di colpi su Primocanale. Da una parte il ministro della difesa, la genovese Roberta Pinotti, in corsa per sostenere il Sì al referendum costituzionale. Dall'altra il governatore ligure Giovanni Toti, strenuo difensore del No. Un duello condotto da Mario Paternostro e Franco Manzitti alle prese con un dibattito infuocato. Si parla di Senato, bilanci e scenari futuri. Non solo per l'Italia, ma anche per le comunali genovesi. Che dopo il 4 dicembre vedranno una svolta nella campagna elettorale. 

IL NUOVO SENATO NON E' UNA FIGURA INDECIFRABILE E DIFFICILE DA SPIEGARE?

P – Non è così. Addirittura era già presente nelle proposte che i Ds avevano presentato tempo fa. Serve perché, nel momento in cui fai ordine tra le competenze dello Stato e le Regioni, avere una camera delle autonomie consente di portare su un livello politico questioni che interessano ai territori. Perché toglierlo dal livello amministrativo? Perché ha portato a migliaia di contenziosi. Non è un doppione di quello che esiste adesso. Il 97% delle leggi attuali sarebbe stato deciso solo dalla camera. Sulle decisioni nazionali che riguardano il territorio la discussione deve essere di livello politico. Confusione? No, proprio per questo l'articolo 70 è più lungo. Le province? Questo rischio di confusione non c'è.

TOTI, COME SI SENTE IN QUESTA ACCOZZAGLIA DI ALLEATI?
T- Indubbiamente è un gruppo eterogeneo ma quando parliamo di costituzione parliamo di un testo che dovrebbe mettere d'accordo tutti, è proprio per questo che ognuno esprime il proprio parere al di là dello schieramento. Proprio perché persone molto eterogenee tra loro ritengono questa riforma sbagliata da punti di vista inconciliabili da 20 anni vuol dire che lo è veramente. Forse dovresti correre ai ripari e avere un po' più di umiltà. L'unica cosa positiva del nuovo senato è il nome, tutto il resto non c'entra nulla. Aumenteranno i contenziosi costituzionali perché il Senato potrà chiedere di esaminare le leggi. Viene composto da consiglieri regionali e sindaci, per il momento non abbiamo abolito il Senato, abbiamo abolito il voto. Così per le Province
P – Questo non è vero. Per quello che riguarda i Senatori, verranno eletti. C'è scritto che saranno eletti sulla base delle indicazioni dei cittadini. Nella legge elettorale rimarrà eccome. All'inizio della discussione non era così eterogeneo il gruppo del No. Uno dei relatori era addirittura Calderoli, la riforma è passata con una larga maggioranza.
T – Il problema è che non abolite il Senato. Noi li avremmo ridotti, ma con un vincolo sui territori. Se fosse stato come il Bundesrat tedesco dove le persone vanno a rappresentare i territori, mi sarebbe andato bene. Non c'è vincolo di mandato, un rappresentante potrebbe votare in modo diverso. Il 5 mattina, quando avrà vinto il no, il sole sorgerà ad est e sorgerà ad ovest, farà un po' freddo, i panificatori avranno fatto il pane. Solo avremmo evitato di incasinare ancora di più un sistema istituzionale che già lo è. In pochissimi giorni il mio partito ha votato in un pugno di giorni leggi “salva-tutto” che non hanno salvato nulla, lo dico senza partigianeria.
P – La maggior parte delle leggi ha tempi insostenibili. È dal 2001 che la legge sui piccoli comuni passa alla camera e non viene mai decisa. Quanti negozi hanno chiuso nel frattempo?

PARLIAMO DEL DOPO: D'ALEMA DICE CHE DOPO IL NO NON SI DEVE ANDARE AL VOTO. LEI LO PENSA DAVVERO?
T – Cosa auspico? Che si trovi una legge elettorale in poco tempo, una legge che garantisca una rappresentatività migliore dell'Italicum ma anche governabilità che va tenuta. Dopodiché non credo che questo governo abbia voglia di essere mandato a casa da qualcuno. Si farà una legge elettorale e si andrà avanti. Escludo che qualsiasi partito attualmente riconducibile al centrodestra partecipi a qualsiasi forma di governo. Il mio auspicio è che nel 2017 si voti con una legge elettorale nuova
P – Non mi interessano i palazzi della politica. È vero che il sole sorgerà ancora, ma daremmo un messaggio terribile al Paese. Dopo 30 anni che discutiamo di riforme siamo al punto di farle e ancora non ci riusciamo. Certo, tutto è perfettibile, ma anche la Costituzione. Se prevalgono i No al referendum, tutto rimane com'è. Purtroppo da 30 anni facciamo commissioni per dire che così non funziona e che servono Governi stabili che facciano cose giuste. Non è un problema di Governo o legge elettorale – così com'è non si può andare a elezioni – ma il tema vero è cosa succede al Paese. Riapriremo un'altra commissione e continueremo a discutere, mai a decidere
T – Decideranno gli italiani. Se votano per il No, vuol dire che ritengono il cambiamento peggiore di ciò che è. Se dall'iPhone 6 passo al 7 è un buon cambiamento, se passo al gettone telefonico no. Se ritengono che sia una frana verso il passato perché si deciderà tutto a Roma...
P – Non è vero. Quando in Europa si doveva decidere quanti erano i porti importanti, l'Italia ne ha presentati 55, gli altri paesi 3, 4 o 5.
T – Se l'Europa decide che non va bene me ne spiaccio. Avete fatto una riforma che accentra i poteri e impedisce ai genovesi di decidere.
P – Perché servono a tutto il Paese, non solo alla comunità locale. Non faccia il leghista.

SE VINCE IL NO, QUALI PARTITE ENTRANO IN SOFFERENZA?
P – Noi abbiamo forze armate molto capaci, non verrebbe meno la difesa del Paese, ma due questioni sarebbero frenate. La prima riguarda la difesa europea. Io e Gentiloni abbiamo fatto passi avanti su questo tema: contro il terrorismo devi pensare a una difesa collettiva e l'Europa a ricominciato a camminare. Seconda questione, lotta al terrorismo: come coalizione abbiamo costruito insieme ai grandi Paesi occidentali un programma che stiamo seguendo passo per passo con indirizzi stringenti. Quando hai un cambio politico al Governo che ha costruito relazioni, si possono rallentare alcuni processi.
T – Cioè dobbiamo votare Sì per recuperare Mosul?
P – Vedo solo che l'Europa non ti interessa. Anzi, potresti aiutarci nelle nostre battaglie
T – Mi pare che abbiamo sempre fatto la nostra. Se andiamo a vedere l'Europa come ci viene incontro su tanti fattori, non mi sembra una grande alleata

SANITA': SI PERDERA' UN'OCCASIONE PER DARE UNA SANITA' SEMPRE MIGLIORE ALLE REGIONI CHE NON LA HANNO?
T – Perché bisogna livellare le eccellenze verso il basso? Le linee guida saranno nelle mani del governo e non più delle regioni. Tutte le regioni eccellenti applicano costi più bassi e si sono dati modelli organizzativi. Tutto ora verrà deciso da Roma. È da vent'anni che si parla di costi standard
P – Voi sui risparmi state uscendo di 119 milioni
T – Queste sono balle che raccontate sempre. I risparmi? Col nuovo Senato si spenderanno 40 milioni in meno. Negli ultimi due anni il debito pubblico è salito di 160 milioni di euro.
P – Ma che Paese è un Paese in cui uno screening sanitario non è allo stesso livello per tutti? È una questione di dignità fondamentale. C'è già lo stesso livello? Ma non esiste nei dati.

QUALI ARGOMENTI USATE PER CONVINCERE AD ANDARE A VOTARE CHI NON CI VA?
T – Delegare una decisione a qualcun altro è già sbagliato. E soprattutto le comunità locali che da anni lottano per avere voce in capitolo per avere i propri modelli di sviluppo e oggi si vedono smontare queste prerogative, credo non si possano lamentare per difendere quel livello di autonomia conquistato negli ultimi 35 anni. Non sarà la morte di nessuno, ma chi vuole interloquire con Roma da un punto di forza credo debbano votare no.
P – È un po' un tema da addetti ai lavori. Per chi deve decidere adesso, vedere articolo per articolo non è molto utile. Dobbiamo far capire che questo cambiamento ha effetti positivi su di loro. Il limite del Paese è che è stato bloccato perché il contenzioso tra Regioni e Stato ha toccato 1899 questioni. E non ha deciso nessuno. C'è molta fame di Italia nel mondo, e l'Italia ha bisogno di una politica che decida. I cittadini che vogliono vivere in un Paese capace di correre devono sentirsi spinti a votare. Saremo stupiti da un'affluenza più alta di quanto potevamo prevedere.

COME INFLUIRA' IL RISULTATO SULLA POLITICA GENOVESE?
T – Non so se avrà un influsso. Come centrodestra abbiamo un dovere: avendo sempre fatto riforme importanti, come quella del 2006 abrogata da un referendum per il voto uguale e opposto del Pd dell'epoca
P – Perché conteneva il rafforzamento dei poteri del premier che questa non ha
T – Hanno scelto gli italiani e io non discuto. Il centrodestra dovrà costruire un sì a una serie di cambiamenti, anche nel comune di Genova. Questa città deve trovare una via di sviluppo, un po' di coraggio. Esattamente come dico a livello nazionale, il nostro no non è come quello dei grillini, ma deve servire a compattare una coalizione che dia a Genova uno slancio diverso. E poi, quando torneremo al Governo, una coalzione alternativa che non stia a guardare al derby tra Renzi e Grillo
P – Non lascerà tutto com'è anche se non toccherà direttamente gli schieramenti. Le forze che compongono il no o il sì sono diverse. Per esempio Ncd che appoggia il presidente Toti sta facendo campagna per il sì. Il sì non è il sì di un partito o di un Governo, ma per una proposta di riforma che prende il lavoro che da tempo è stato fatto. Le ricadute sulla politica genovese non saranno immediate dal punto di vista di geometria partitica, ma fare una campagna insieme crea una comunanza di valori, quindi ci saranno scomposizioni. Genova ha bisogno di correre. Questa esperienza che sta appassionando tanti giovani farà bene anche alla campagna per le comunali.

VALEVA LA PENA DI FARE UNO SCONTRO COSI' LACERANTE IN QUESTO MOMENTO?
P – Non è una scelta, un obbligo. O non facevamo le riforme o si faceva il referendum perché non sono state raggiunte le percentuali. Valeva la pena? Sì, perché se no la politica è sempre quella che dice e non fa mai. Dopo la rielezione di Napolitano, ovviamente si mettono al primo punto le riforme costituzionali. Questo è un impegno assunto da questo Paese.
T – Il Governo ha puntato tantissimo e ha voluto fare una riforma anche quando ha capito che non c'erano più le condizioni per un confronto costituente. Ha cercato nelle urne una legittimazione popolare con questo referendum. Tante scelte non le condivido, ma sto dall'altra parte. Ma mi auguro che gli italiani diano anche un giudizio su questo dibattito che ha inchiodato il paese per un anno mentre le priorità erano altre.