economia

Il titolo cede il 2,7 per cento. Gli analisti: "Troppo ottimismo"
3 minuti e 51 secondi di lettura
Titolo giù del 2,7 per cento. Piazza Affari reagisce così al nuovo piano industriale di Banca Carige, varato ieri all'unanimità dei presenti dal consiglio d'amministrazione. Alla prima verifica, il mercato ha fatto pollice verso, tenendo il principale istituto di credito ligure nella scia del trend ribassista che nei primi mesi dell'anno lo ha condotto a bruciare circa il 70 per cento del suo valore.

Considerando il momento generale del settore bancario sarebbe una seduta da archiviare quasi a livello neutral, ma l'esperienza insegna che quando c'è di mezzo un piano di medio respiro il titolo interessato può andare ben oltre le altre performance di giornata se il giudizio del mercato fosse davvero positivo. E questo a Carige non è accaduto. Diciamo, allora, che l'accoglienza è stata fredda.

Va rilevato che nel piano non compaiono decisioni che non fossero attese. Sono i numeri, a questo punto, che evidentemente non sono completamente piaciuti. A cominciare dall'aumento del margine di interesse sull'attivo, stimato in crescita dall'1,1 all'1,5 per cento, e delle commissioni sempre sull'attivo totale, previste in aumento dallo 0,9 all'1,1 per cento. Un obiettivo che da qui al 2020, anno in cui il piano andrà a regime, secondo molti analisti finanziari è da considerarsi "troppo ambizioso".

L'abbattimento previsto dei costi (meno sportelli, in tutto 106, e meno dipendenti, complessivamente oltre 500 a regime) è invece considerato realistico, ma ad alimentare più di tutto il clima di incertezza che circonda la banca ligure è il capitolo relativo ai no performing loan (Npl), cioè i crediti deteriorati.

È una montagna di 3,9 miliardi di euro, che ora Carige dice di voler cedere a pezzi. Un primo stock di 900 milioni sarà venduto quest'anno e un analogo quantitativo sarà ceduto nel 2017. Il meccanismo utilizzato sarà quello competitivo, cioè verranno messi all'asta, con la finalità dichiarata di ottenere un compenso superiore a quel 20 per cento a suo tempo offerto dal fondo Apollo e respinto al mittente (anche perché annessa c'era la proposta di aumento di capitale riservato che avrebbe dovuto portare gli americani ad assumere il controllo di Carige).

Vendere 1,8 miliardi Npl sarebbe già un gran risultato, ma a parte la perdita conseguente - che ottimisticamente la banca stima in 180 milioni - non è meglio definita la sorte dei 2,1 miliardi rimanenti, che una commissione interna ad hoc dovrà valutare caso per caso per promuoverne, poi, un recupero che evidentemente all'esterno viene giudicato problematico.

Nell'insieme, dunque, gli osservatori reputano quello varato come un piano industriale che mira a prendere tempo e che, per converso, si pone traguardi fin troppo ambiziosi, senza chiedere agli azionisti un ulteriore intervento con un aumento di capitale. L'operazione non è prevista, ma rimane sullo sfondo. L'amministratore delegato della banca, Guido Bastianini, ha infatti spiegato che l'opzione non è all'ordine del giorno, ma "sarà presa in considerazione solo se risultasse necessaria".

Nel suo insieme il piano sembra fatto per parlare a nuora affinché suocera intenda. E la nuora in questione è la Banca centrale europea (Bce) sotto la cui vigilanza ricade Carige. Era stato proprio l'istituto guidato da Mario Draghi a imporre la stesura di un nuovo piano industriale (con proroga dei termini dal 30 maggio al 30 giugno), con il seguito, una volta ricevute le linee guida, di una comunicazione nella quale si insisteva per una svolta più decisa, contemplando ancora una volta l'aumento di capitale e la ricerca di un partner con cui andare a nozze.

Per ora, tuttavia, il nuovo management di Carige decide di proseguire per la propria strada, cercando di rimettere le cose a posto attraverso la riduzione dei costi e l'individuazione delle strategie di sviluppo. La risposta ad alcuni interrogativi, come quelli legati ai crediti deteriorati, non sembra però risultare convincente neppure per la Borsa. E lo stesso dicasi per quelle performance che sono considerate sovrastimate vista l'attuale debolezza del mercato e le criticità specifiche della banca.

Ora il pallino passa a Francoforte. Ma anche in caso di risposta negativa non bisogna aspettarsi scossoni sulla governance di Carige. Non richiedere un nuovo intervento di tasca da parte degli azionisti è elemento che ne rafforza la posizione e, inoltre, non va dimenticato che nel board siede, come vicepresidente, anche il socio principale, Vittorio Malacalza. Il presidente Giuseppe Tesauro e il capo azienda Bastianini hanno dunque la migliore e maggiore copertura possibile, visto che Malacalza compartecipa alle decisioni anche come amministratore. Tutto sta a vedere come finirà la vera sfida: rimettere in sesto Carige seguendo la strada più impervia di andarsi a cercare i soldi fuori. Data la congiuntura, una bella impresa.