Non se lo vogliono mettere in testa, ma la vera emergenza genovese è quella demografica. Non nascono più bambini, il tasso di natalità è precipitato negli ultimi quattro anni. Almeno il 30 per cento dei laureati genovesi, cioè la crema della mejo gioventù di oggi, alza i tacchi e va a lavorare fuori. I dati sulla popolazione dicono che siamo meno di 580 mila e, togliendo da questo conto gli immigrati, siamo ampiamente sotto i 550 mila: fra pochi anni, quando arriveranno oltre i 65 anni quelli della generazione del baby-boom, andremo verso i 400 mila, perchè il tasso di vecchiaia, già il più alto in Italia e in Europa, salirà alle stelle.
Non solo, se scaviano dentro le cifre del nostro andamento anagrafico, sopratutto a quello di tutta la Regione, che già si avvia verso un cosidetto “finale ligure”, dove non si parla del ridente paese ponentino, ma di una amara conclusione del nostro popolamento, scopriamo record sempre più preoccupanti.
A Genova, per esempio, vivono già 168 mila donne sole. I nuclei unifamigliari, cioè quelli composti da una persona sola, sono nettamente prevalenti sugli altri, ma la stragrande maggioranza di questi è composto al femminile.
Cosa voglioro dire questi dati? Che stiamo vivendo un declino apparentemente inarrestabile, che la nostra prospettiva è di diventare sempre meno, sempre più vecchi, sempre meno produttivi e con la necessità di organizzare un futuro nel quale il problema numero uno sarà l'assistenza.
E vi sembra che in questa situazione i nostri amministratori, coloro che si occupano del bene comune o della “cosa pubblica”, come volete chiamarla, possano avere dei dubbi sull' impegno a cui dedicare le loro capacità e le loro energie?
Invece questa emergenza demografica viene totalmente sottovalutata, nessuno ne parla, se non gli statistici del Comune, quando sfornano i loro bollettini o i geriatri, quando non sanno più dove sistemare gli anziani ricoverati negli ospedali, magari soli al mondo e bisognosi di assistenza h24, come si dice ora.
I politici, invece, h24 pensano ad altro e continuano a immaginare la città come se avessimo un futuro da un milione di abitanti. Sono indietro di trenta-quaranta anni, non si rendono conto che il Blue Print sarà un bel progetto e Erzelli una grande speranza di nuova indulstrializzazione, l'IIT uno splendido fiore all'occhiello, ma che se non “misuriamo” la città di domani alle nuove proporzioni, alle nuove esigenze, finiamo veramente kaputt.
Le città nel mondo che hanno invertito i loro trend di agonia prima di tutto demografica, lo hanno fatto trovando soluzioni di sviluppo che richiamassero indietro abitanti. Non bastano i flebili segnali di un miglioramento turistico con tassi di crescita di visitatori del 5 per cento o i raid dei croceristi a rimpolpare i ranghi della popolazione proiettata in un nuovo business. Ci vuole altro.
Bordeaux, in Francia, ha invertito la sua tendenza mortifera con un collegamento veloce ferroviario e nuove industrie, sorte proprio in virtù di una uscita dall' isolamento geografico.
Noi abbiamo in costruzione un Terzo Valico atteso da 120 anni e finalmente partito con la prospettiva di essere concluso tra otto-nove anni. Troppo tardi. Allora saremo tra i 400 e i 450 mila, nessun giovane laureato resterà a lavorare qua e le donne solo saranno sempre più vicine alla metà della popolazione. Visione apocalittica di una società in estinzione? Può darsi, ma chi ferma la corsa al “Finale Ligure”?
politica
Meno bimbi, giovani in fuga, 140 mila donne sole, il vero sos di Genova
L'invettiva
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