economia

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Nelle proprie Considerazioni finali all’Assemblea Ordinaria della Banca d’Italia del 30 maggio scorso, a pagina 14, Ignazio Visco scrive: “il livello di istruzione e di competenze su cui può contare il sistema produttivo italiano è inadeguato: in una recente indagine dell’OCSE l’Italia figura all’ultimo posto per le competenze funzionali di lettura e al penultimo per quelle numeriche. Il divario con la media degli altri paesi è presente anche tra i più giovani ed è più alto al crescere del titolo di studio”.


Nella Relazione Annuale del CXX esercizio della Banca d’Italia, nell’analisi dell’economia italiana, ben dieci pagine ricche di dati sono dedicate al capitolo “Istruzione e formazione nel sistema produttivo”. E’ da tempo che Banca d’Italia dedica molta attenzione attraverso proprie analisi qualitative e quantitative a questo tema, quasi a simbolo dell’assenza di seria riflessione e corrispondente azione da parte degli attori istituzionalmente preposti a tale materia, al di là di frequenti e scontate affermazioni generali rivolte attraverso i media all’opinione pubblica, agli studenti e alle loro famiglie. Il rendimento, con qualsivoglia indicatore stimato, del sistema di formazione terziaria in Italia, ovvero quella svolta dalle università, è basso (circa 17%) rispetto ai costi sostenuti dai cittadini attraverso la fiscalità generale (circa 7 miliardi di euro all’anno, ovvero poco meno di mezzo punto di PIL) e, cosa peggiore, il prodotto finale, specialmente in termini di risorse umane capaci (e non solo competenti), non è armonizzato con le esigenze dei diversi comparti economico-produttivi del Paese, attraverso un fattore di amplificazione che nuoce molto alla competitività italiana e quindi alla generazione di valore e di posti di lavoro.

L’offerta formativa delle università, drammaticamente autoreferenziale, frammentata e ridondante, non è accordata rispetto alla domanda che, invece, dovrebbe strategicamente indirizzarla, almeno secondo alcune macro-linee guida che pure sono ben note al decisore politico ove si osservi il ruolo – riconosciuto - che l’Italia svolge nel mondo. La spia di allarme dei dati e delle considerazioni di Banca d’Italia dovrebbe essere almeno avvertita dai responsabili della formazione universitaria ai vari livelli, MIUR, CUN, CRUI, professori e ricercatori, ma purtroppo ciò non accade. Sarebbe interessante conoscere il numero dei Rettori delle Università italiane che abbiano almeno sfogliato le pagine sopra citate: molto più probabilmente, non ne sono neppure a conoscenza, e comunque ritengono, con colpevole supponenza che ricade sui propri studenti, che ciò non sia di loro competenza, sulla base di antiche prassi consolidate che vedono l’Accademia, a dispetto di propositi ripetutamente ma forzatamente espressi, sentirsi, nel suo cuore, turris eburnea. Banca d’Italia cerca, col suo impegno, di vicariare questo ruolo chiave, prova almeno a offrire alle persone di buona volontà la base per costruire quella cinghia di trasmissione indispensabile fra il mondo della formazione e quello della produzione perché l’Italia possa mantenere e accrescere la propria competitività a livello internazionale. Ciò accade da tempo pure in altri settori: basti pensare al ruolo degli uomini di provenienza Banca d’Italia al Ministero dell’Economia e Finanze (MEF) e, in particolare, alla Ragioneria Generale dello Stato, un tempo istituzione indipendente e fondamentale per l’Italia, ridotta a rango di Dipartimento del MEF alla fine degli anni ’90 per tenerla sotto il controllo del decisore politico. Pare di capire che anche nel caso della formazione, così come in quello cruciale della costruzione del bilancio dello Stato, Banca d’Italia sia la più autorevole istituzione cui fare appello per riportare a ragionevolezza e valore il sistema formativo. Va reso merito a Ignazio Visco di agire come sollecitatore non di parte di una coscienza certamente sopita. Che fare? Certamente l’usato delle università è da dimenticare, niente nuove leggi di riforma del sistema, la fantasia non può bastare e a volte, anche se creativa, è volatile. Banca d’Italia indica la strada maestra, che è quella di riprendere la cultura del saper fare, e a trasmetterla con rinnovata autorevolezza alle giovani generazioni. Genova, 10 gennaio 2014 Francesco Beltrame Quattrocchi