GENOVA - "Si chiama Italia al centro perché di leader che si sono messi direttamente loro al 'centro' ne abbiamo visti troppi. Ora cerchiamo di costruire qualcosa che resti, anche quando su questo palco non ci sarà più Giovanni Toti. Il centro è di tutti". Così il presidente di Regione Liguria e leader di Italia al Centro durante la prima convention nazionale del partito nel cuore di Roma.
Tanti i politici dell'area di centro che hanno preso parte all'evento: si va da Carlo Calenda, il sindaco di Genova Marco Bucci, Mariastella Gelmini, il presidente di Italia Viva, Ettore Rosato, per arrivare a Guido Crosetto, ex parlamentare e fondatore di Fratelli d’Italia. E proprio Marco Bucci, intervenuto anche lui sul palco arancione, ha così risposto alla domanda su cosa voglia dire fare politica: "I cittadini hanno bisogno di una figura che si occupi di loro. Si può fare tutto quello che si lavora per fare: si può fare, bisogna combattere, avere idee ma anche le capacità: lo abbiamo dimostrato. I cittadini vogliono chi fa, non chi parla".
Nutrito il gruppo di Liguri arrivato a Roma. Per la Regione Liguria, presenti gli assessori Cavo, Scajola e Giampedrone insieme ai consiglieri Anzalone, Menini, Bozzano, Boitano. Per Genova, gli assessori Brusoni e Maresca, il consigliere comunale Pellerano e municipale Rinaldi. Per La Spezia gli assessori Gagliardi e Casati oltre al coordinatore provinciale Figoli. Da Sarzana il consigliere Ponzanelli. Molti i sindaci del Ponente: De Michelis di Andora, Za Garibaldi di Diano Marina, Biasi di Vallecrosia, Orengo di Badalucco e Conio di Taggia.
A chiudere l'evento "Italia al Centro - il cantiere" l'intervento di Giovanni Toti: "C’è una bella energia, una bella vitalità in questa sala. Grazie se siete qui oggi, voglio ringraziare chi viene da Roma, dal Lazio che l’anno prossimo andrà a elezioni insieme alle politiche, e chi è venuto da più lontano, da Reggio Calabria ed è partito all’alba. Credo che tutta questa partecipazione sia sinonimo di vitalità. Lo dico con affetto a chi in queste ore continua a dire ‘il centro è mio, è nostro’: il Centro è di tutti, di tutti coloro che sono saliti su un autobus stamani all’alba per essere qui, dei tanti amministratori dei piccoli comuni che si occupano dei cittadini per pochi euro quasi fosse volontariato e dei tanti militanti che montano gazebo durante le campagne elettorali. Tutti continuano a dire che vedono un Centro pieno di generali e con pochi voti: non è la nostra ambizione costruire il palco della Piazza Rossa con i generali e le medaglie appuntate sul petto. Anzi, se ho un’ambizione è di costruire un cantiere che diventi un grande movimento politico, un’area culturale che abbia dei generali ma in cui quei generali siano cambiabili su volontà degli iscritti, che ruotano secondo il tempo e le stagioni, che diano il loro contributo ma non si sentano indispensabili.
Abbiamo messo l’Italia al centro perché di leader che si sono considerati il centro dell’universo, per poi scoprire con delusione che non lo erano pochi anni dopo, ne abbiamo visti passare troppi. Qui cerchiamo di costruire qualcosa che resti anche quando su questo palco non ci sarà Giovanni Toti ma altri ragazzi che sono qui oggi o che magari non sanno neppure di voler fare politica ma lo scopriranno, speriamo, con lo sforzo di tutti nel prossimo futuro.
Credo che sia stato davvero un dibattito ricco. Un ringraziamento speciale lo rivolgo a chi è venuto dalla Liguria: un pezzo delle idee e delle convinzioni che la buona politica può esistere, può risolvere i problemi, che si può cambiare la storia di un territorio impegnandosi, che la pragmaticità alla fine viene premiata dagli elettori più della velleitarietà, quelle convinzioni e idee ci sono venute e ci sono cresciute governando la Regione Liguria e le tante città che abbiamo conquistato.
Grazie a Ettore Rosato che ha ragione sul fatto che dobbiamo collaborare di più, ai ministri che si sono collegati tra cui Cingolani che dà sempre il contributo di un punto di vista speciale di quella competenza che non è un sostantivo a caso ma dev’essere connaturato alla nostra visione di Paese e per la selezione della sua classe dirigente, a Marco Bucci che da questo palco ha detto cose importanti per il nostro programma sulla capacità di fare che dev’essere la nostra stella polare perché Italia al Centro significa mettere al centro i problemi e le loro soluzioni".
A Roma la prima convention nazionale di Italia al Centro - LEGGI QUI
"Essere moderati non significa essere moli, ondivaghi, incerti: noi saremo nettissimi, abbiamo convinzioni granitiche, solidissime ma queste convinzioni non ci impediscono di dialogare con tante persone passate su questo palco anche con visioni un po’ diverse dalla nostra. Ma se ci chiudiamo al confronto, chiudiamo alla cosa più alta e nobile della politica, ovvero la possibilità di trovare un programma comune e la massa critica per poterlo realizzare.
Quindi serve grande chiarezza di idee ma anche grande capacità di dialogo: queste sono le qualità dei moderati.
Grazie a Da Milano che ha fatto una straordinaria battaglia a Torino, a cui abbiamo creduto fino in fondo e credo abbia dato un contributo importante a riflessione del mondo a cui apparteniamo. È il mondo dei progressisti, dei liberali, di chi vuol fare le cose e si trova in una condizione in cui politica non ha più quella conformazione netta e cristallina della seconda repubblica ma in qualche modo, come fosse una foresta pietrificata, non riesce a cambiare se stessa per costruire qualcosa di diverso.
Ringrazio la pattuglia dei nostri parlamentari: credo che la nostra presenza in Parlamento, non un gruppo di grande dimensioni, ma il nostro apporto è stato fondamentale in alcuni passaggi di questa legislatura e ci siamo saputi assumere responsabilità senza sedere al governo ma con quello spirito di servizio che ci ha portato ad approvare alcune riforme del governo Draghi che altrimenti sarebbero state un inciampo di percorso. Lo abbiamo fatto con quel senso di responsabilità che dobbiamo avere quando costruiamo qualcosa di nuovo".
"Grazie al ministro Gelmini che è venuta qui a parlare di autonomia: ci tengo moltissimo. Si è messa un po’ di lato ma inerisce a due cose che fanno parte del nostro programma strutturalmente e sono congenite nel nostro dna: la prima è il merito, la capacità di un territorio di darsi amministrazioni, di dare una spinta alle proprie classi dirigenti per raggiungere degli obiettivi. Questo è fondamentale perché se il Pnrr porterà tanti soldi nel nostro Paese, la capacità di spesa di quei soldi è fondamentale per aumentare la produttività. Altrimenti alla fine troveremo qualche muro imbiancato, tanti debiti in più ma poca capacità di crescita del Paese.
La seconda cosa è la capacità dei cittadini di poter giudicare le loro classi dirigenti: autonomia vuol dire assunzione di responsabilità. Se sei capace, sanno dove abiti, dove hai l’ufficio e possono bussare alla tua porta per chiederti conto del perché non hai realizzato un progetto. Altrimenti nella melassa di questo Paese, dove le responsabilità si confondono sempre troppo, alla fine non è mai colpa di nessuno ed è uno scarico di responsabilità che non possiamo più permetterci. Chi è responsabile di una cosa, la fa o non la fa e viene giudicato dai cittadini per questo. Su questo è il meccanismo della politica dev’essere limpido e cristallino, si deve sapere chi ha un compito e capire se sia riuscito a portarlo in fondo.
Quindi ringrazio Mariastella, se riuscirà a portare in Parlamento alla fine di questa legislatura, quella legge delega sulle autonomie, credo avremo fatto un bel passo avanti. Lo dico anche a tutti gli amici delle Regioni dove pensano che l’autonomia possa essere un danno. Non è così. Anzi, dal sud mi aspetto un sussulto di orgoglio per essere più autonomisti: se questo Paese ha diverse velocità non è colpa dell’autonomia che non c’è mai stata ma di un sistema che tende ad appiattire tutto e chi non vuole cambiare vuole continuare a tenere un pezzo del Paese meno sviluppato altrimenti non si capisce perché un sistema che non funziona debba essere mantenuto senza cambiare nulla. Ci vuole un po’ di coraggio".
"Il nostro è un dialogo che parte da fatti e progetti, non dal gioco delle coppie che tanto piace a giornalisti ma non credo sia il modo per affrontare la rivoluzione di cui la politica ha bisogno. La politica oggi ha bisogno di una rivoluzione. Su questo non ci possono essere dubbi in chi dice la verità e non siamo moderati, non ci piace la velleitarietà, non ci piacciono le ‘smargiassate’ o chi promette cose che non si possono mantenere, anche peggio se utilizzando i soldi dei nostri figli e nipoti.
Ci piace essere pragmatici e concreti ma siamo fanatici della verità: la diciamo a noi stessi e agli amici con cui ci confrontiamo e a ai nostri elettori. E la verità è che il mondo è cambiato e la politica è rimasta indietro. Le leggi elettorali non appassionano nessuno ma ragioniamone. L’ultima legge è stata un lavoro collettivo e di leggi elettorali perfette non ce ne sono. Ma se guardiamo la fotografia di questa legislatura io vedo una serie di persone che difendono il bipolarismo. Ma poi, se le persone che si sono presentate agli elettori dicendo con chi avrebbero voluto governare e poi è accaduto davvero, è stato per un puro caso.
Abbiamo visto governi gialloverdi, poi governi giallorossi e ora un governo di unità nazionale: questo in parte perché la legge elettorale non funziona, non ha prodotto una maggioranza parlamentare e in parte anche per un motivo più strutturale, perché le coalizioni come le abbiamo conosciute nel passato sono oggi più cooperative elettorali che non coalizioni che governano coerentemente insieme. Io non sono pregiudizialmente un proporzionalista o un maggioritarista ma su questo una riflessione va aperta. Dobbiamo dirci la verità e oggi le coalizioni per come si sono evolute e, per certi aspetti, estremizzate non rappresentano più quella sintesi ed equilibrio dei due schieramenti della seconda Repubblica, che si è chiusa con il voto del 2018. Chi continua a dire che tutto va bene mente a se stesso e al Paese per interessi di pura conservazione. Mentre Draghi governa e ci porta al termine di questa legislatura, i partiti, a partire da noi e da questo cantiere, dai cantieri che vorranno aprire gli amici che stanno in un’area di centro come la nostra, devono dire che questo sistema politico, che abbiamo conosciuto nella seconda Repubblica, è finito e bisogna costruirne uno nuovo, basato su nuovi presupposti, su nuove alleanze, nuove geometrie, nuovi equilibri e baricentri e certamente su una nuova legge elettorale che risponda a tutto questo. È il Parlamento che se ne deve occupare: facciamolo altrimenti avremo, dopo un anno di commissariamento Draghi, di nuovo un Parlamento dove non si riuscirà a trovare una maggioranza e ricomincerà il balletto delle maggioranze a geometrie variabili. Forse qualcuno lo spera per salvare la poltrona dalla riduzione dei parlamentari che non ho particolarmente condiviso ma certamente non aiuta il Paese. E se vogliamo mettere l’Italia al Centro certamente cominciamo a dare al Paese un sistema che funziona e mette insieme un sistema elettorale, un sistema di alleanze e un sistema di stato e di governo come le autonomie che consenta di guardare al futuro e di andare avanti.
"Il punto di partenza è ciò che siamo e quello che vogliamo costruire: efficienza, semplificazione che va fatta davvero in Parlamento. Il processo di semplificazione in questo Paese sembra la valigia che si fa prima di partire per le ferie: si vuole partire leggeri ma poi si aggiungono cose, anche in Parlamento e alla fine, quando si esce dal processo di semplificazione, abbiamo rimesso tutti quei controlli, quei passaggi, quegli enti che volevamo togliere. Ci vuole coraggio per toglierli, perché ci sarà sempre qualcuno che protesta. Dopodiché se fai un ecomostro alle Cinque Terre vieni arrestato. Ma non si può controllare tutto in anticipo, altrimenti non si parte mai. La direzione è chiara".
"Voglio parlare di tre temi a cui tengo molto: immigrazione, politiche femminili e ambiente. Si parla molto di Ius Scholae: è evidente che questo non può essere il Paese in cui sbarcano tutti i disperati del Mediterraneo perchè nessun Paese ha le frontiere spalancate e non ce lo possiamo permettere. Ma è altrettanto vero che non parliamo della stessa cosa quando parliamo di un metodo di integrazione di chi vive e studia da anni con i nostri figli. Su questo una destra moderna, un conservatorismo moderno, si deve interrogare, non possiamo pensare di non integrare nessuno perché sarebbe un Paese che non esiste, che si racconta solo sui social. La Gran Bretagna sta forse per avere un primo ministro di origine curda o pachistana e noi ci chiediamo se un ragazzo che ha fatto qui elementari, medie e liceo con i nostri figli abbia il diritto di essere italiano: è una domanda retorica. È chiaro che ci debba essere in una moderna democrazia un sistema di integrazione".
IL COMMENTO
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