cronaca

Gli indagati si adoperavano anche a preparare i testimoni delle indagini
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Avrebbero utilizzato un dispositivo jammer, il disturbatore di frequenze dei cellulari, per non farsi intercettare alcuni indagati sui falsi report dei viadotti. E’ ciò che si evince dall'ordinanza del Gip che ha portato a nove misure cautelari nell'inchiesta sui falsi report sui viadotti dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova. Secondo il Gip, il dirigente Lucio Torricelli Ferretti, della direzione VIII tronco di autostrade, "è tra i soggetti attivi nell’attività di inquinamento probatorio. Da una conversazione telefonica tra altri due soggetti si evince che Ferretti utilizzi il dispositivo di disturbo delle intercettazioni".

Gli indagati si adoperavano anche a preparare i testimoni delle indagini,
prima di essere ascoltati dai giudici. "Con il riferimento all'audizione di una persona sentita nell'ambito dell'inchiesta si recrimina di non esserlo riuscito a preparare sufficientemente: "Eh l'ho saputo il giorno prima dalla Valentina: chiamano Ascenzi. Il problema è che dovremmo capire chi chiamano. E ci si prepara", si legge nell'ordinanza,

"Ferretti nonostante il proprio ruolo apicale, ha concorso a tenere all'oscuro il Mit del reale stato del viadotto Pecetti e deve ritenersi che, ripresentandosi l'occasione, non esiterebbe a reiterare condotte delittuose, soprattutto per la distorta filosofia di fondo che muove l'indagato nel proprio lavoro di responsabile dell'Ufficio opere autostradali che non é quella di garantire la sicurezza degli utenti della strada, bensì di razionalizzare le carte che ha in mano", prosegue il magistrato che indica come significativa una telefonata, del 4 dicembre 2018, tra Ferretti e il suo sottoposto: nella conversazione Indovino riferisce al suo superiore che la perdita di precompressione del ponte Pecetti potrebbe essere una perdita doppia. Ferretti risponde: "L'importante é che sulle carte che abbiamo siamo a posto".

La sicurezza degli automobilisti passava quindi in secondo piano per realizzare il massimo profitto, stando a quanto emerge dalle indagini. E per farlo bisognava modificare, cancellare, nascondere i veri dati dei controlli sui viadotti gestiti da Autostrade. L'inchiesta bis sui Report "ammorbiditi" sulle infrastrutture, nata come costola di quella sul crollo del ponte Morandi il 14 agosto, ha portato a tre arresti domiciliari e sei misure interdittive. Perché anche dopo la morte di 43 persone si sarebbe continuato in Spea, la società che si occupa di controlli, e Aspi a modificare le carte.

NOVE MISURE CAUTELARI - Il blitz del primo gruppo della guardia di finanza di Genova, coordinato dal pubblico ministero Walter Cotugno, ha provocato il tonfo di Atlantia in Borsa. Il titolo, che è stato anche sospeso per eccesso di ribasso, ha chiuso con una perdita dell'8% a 22,18 euro. Ai domiciliari sono finiti Massimiliano Giacobbi (Spea), Gianni Marrone (Aspi, direzione VIII tronco) e Lucio Torricelli Ferretti (Spea). Interdetti per 12 mesi: Maurizio Ceneri (Spea), Andrea Indovino (Spea), Luigi Vastola (Aspi), Gaetano Di Mundo (Spea), Francesco D'Antona (Utsa Bari) e Angelo Salcuni (consulente esterno). I viadotti finiti nel mirino sono il Pecetti in A26, in Liguria, e il Paolillo, in A16, in Puglia. L'inchiesta bis perà vede indagati anche l'ex responsabile nazionale delle manutenzioni di Aspi, Michele Donferri Mitelli e l'ad di Spea Antonino Galatà, e riguarda anche il viadotto Moro, vicino a Pescara, il Sei Luci e il Gargassa in Liguria e il Sarno sull'A30.

INTERCETTAZIONI CHOC E PRESSIONI - Le condotte degli indagati sono "gravemente minatorie della sicurezza degli utenti della strada", scrive il gip Angela Nutini nella sua ordinanza. "Alcuni hanno dimostrato un'assoluta spregiudicatezza a compiere attività per contrastare le indagini", come cancellare i file o, ancora, usare un disturbatore di frequenza per non farsi intercettare o istruire ad arte i testimoni convocati dagli investigatori. In una conversazione del 20 novembre 2018 Andrea Indovino, dell'ufficio controlli strutturali di Spea, è con Giacobbi, e parlando dello stato del ponte Paolillo osserva: "Ma se esce il problema, poi diventa non più colposo, ma doloso. E a quel punto li'...". Gli indagati ricevono pressioni dal direttore di tronco Marrone e così dalla relazione da inviare al Mit sparisce la discrepanza tra il progetto originario e quanto effettivamente realizzato. Come anche per il Pecetti emerge che pur di fare passare un carico straordinario, e non incorrere in penali, si altera la relazione sulla sicurezza dopo la rottura di un cavo della struttura. Per spiegare il motivo bastano le intercettazioni di Donferri. "Devo spendere il meno possibile - dice - sono entrati i tedeschi, i cinesi... devo ridurre al massimo i costi e devo essere intelligente de porta' alla fine della concessione...".

LA STRAGE DEL BUS AD AVELLINO - L'inchiesta sui falsi report è un vaso di Pandora. Tanto che si scopre un passaggio inquietante sul processo per il bus di Avellino precipitato da un viadotto nel 2013 causando decine di morti. Paolo Berti, all'epoca del crollo del ponte Morandi direttore Operazioni centrali di Aspi, ha mentito. In una intercettazione con Donferri manifesta il disappunto per essere stato condannato (5 anni e 10 mesi) lamentandosi che avrebbe potuto dire la verità e mettere nei guai altri. L'altro risponde "Tu hai ragione ma non è che se metti in galera anche un altro a te cambiava qualcosa. Fregatene! Aspettali al varco e pensa soltanto a stringere un accordo col capo".

MANOMISSIONI ANCHE DOPO IL CROLLO
- Interventi strutturali fatti passare per locali per non fare aumentare i costi, era una regola dentro Autostrade. Lo scrive il gip nell'ordinanza sui falsi report di controllo dei viadotti. I militari della guardia di finanza captano alcune conversazioni dove Michele Donferri Mitelli, ex responsabile nazionale manutenzioni, detta la linea. "Che te ne frega di dire che quello è un intervento di natura strutturale". Per fare passare un'opera come locale, in Puglia, il direttore di tronco Marrone e gli altri indagati fanno capire di avere agganci con qualcuno al Genio Civile e di poterli sfruttare. A qualcuno viene uno scrupolo. E' l'indagato Andrea Indovino, dell'ufficio controlli strutturali di Spea, che si sfoga con una collega: "Non è possibile una superficialità così spinta dopo il 14 agosto (il giorno del crollo del Ponte Morandi) vuol dire che la gente coinvolta non ha capito veramente un cazzo".

JAMMER, UN DISPOSITIVO ILLEGALE - I dispositivi jammer sono generatori di onde elettromagnetiche, capaci di inibire le frequenze GSM, radio e GPS, attraverso la diffusione di un forte e costante impulso che rende inutilizzabili i sistemi di comunicazione, in quanto non più in grado di trasmettere o ricevere dei segnali. Le loro origini sono legate alle Forze Armate Americane, che durante i conflitti mediorientali li utilizzarono per impedire l’innesco di ordigni esplosivi. L’impiego di tali dispositivi da parte dei cittadini è illegale, per volere della Commissione Europea, poiché possono essere adoperati per disturbare le frequenze di comunicazione dei combinatori GSM contenuti nelle centrali di allarme, annullando la possibilità di ricevere la chiamata o il messaggio testuale, che informano della violazione di una proprietà. In Italia i jammer, infatti, possono essere venduti esclusivamente alle forze dell’ordine e alle forze militari. Tuttavia, sono facilmente acquistabili e vengono spesso utilizzati per compiere furti o rapine.