Cultura e spettacolo

Uberto Pasolini affronta i temi dell’adozione e della diseguaglianza di classe
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John è un lavavetri. Ogni giorno pulisce l'esterno di proprietà in cui non potrebbe mai permettersi di vivere e guarda cose che non potrebbe mai permettersi di acquistare. È anche un genitore single. Quando il figlio Michael gli chiede cosa è successo alla mamma, spiega che è andata molto lontano. Che è poi la verità dal momento che la donna è tornata in Russia, il suo paese natale, subito dopo la nascita del bambino, lasciandoli soli nella piccola cittadina dell’Irlanda del Nord dove vivono. Questo però non è mai stato un grosso problema: padre e figlio trascorrono la maggior parte del loro tempo in compagnia l'uno dell'altro e nonostante qualche battuta d'arresto vanno molto d'accordo. L’armonia però è destinata a non durare perché a John viene diagnosticata una malattia per la quale gli restano pochi mesi di vita, mesi che lui spenderà nel tentativo di trovare una nuova famiglia adottiva per il figlio disposta a crescerlo quando non ci sarà più. Con la difficoltà di tenere il bambino all’oscuro di questa realtà.

Per secoli, l'adozione è stata un argomento tabù nel Regno Unito e in Irlanda, qualcosa che le società patriarcali hanno imposto alle donne, spesso contro la loro volontà, quando partorivano fuori dal matrimonio: diciamo un escamotage usato dai ricchi per nascondere i loro "piccoli incidenti". E’ questo lo spunto che ha portato Uberto Pasolini, cugino di Pier Paolo ma anche nipote di Luchino Visconti, a raccontare in ‘Nowhere special’ una storia insolita che aveva in sé un potenziale di sdolcinatezza enorme che in realtà nel film non si percepisce minimamente evitando accuratamente il melodramma e le insidie di incontri emotivi. Inizia dopo che John ha ricevuto la sua diagnosi e finisce prima della sua morte. Non ci sono scene tragiche in ospedale né in studi medici.

Una vicenda certamente drammatica ma affrontata in maniera sottile e discreta, senza alcun sentimentalismo, mai patetica o ricattatoria. Affronta il tema della morte e della solitudine come accadeva in ‘Still life’ – film che aveva fatto vincere a Pasolini il premio per la regia nella sezione Orizzonti nel 2013 a Venezia, il racconto di un funzionario comunale che doveva rintracciare i parenti più prossimi delle persone decedute in totale solitudine - aggiungendovi quello della paternità. Il suo approccio è in stile Ken Loach, toglie il superfluo, lascia intatta l’emozione e rimane radicato nella sua umanità e nel suo realismo mostrandoci le sfide dell’adozione da un punto di vista inedito attraverso il ritratto dell’amore di un padre per il proprio figlio. Se riesce nel suo intento è perché costruisce questo rapporto attraverso le minuzie, momenti teneri del tipo più ordinario come una storia disegnata prima di coricarsi o una spesa al supermercato, espressioni non solo di complicità o dello stare insieme ma della vita stessa, di ciò per cui vale la pena viverla, insomma le normali sfide della quotidianità. Così facendo, il film inquadra il rapporto padre-figlio e non la malattia di John che da parte sua non può permettersi il lusso della rassegnazione cercando nello stesso tempo di fare pace con una situazione che non è in grado di cambiare.

Ma un altro tema fondamentale di ‘Nowhere special’ è la disuguaglianza di classe perché ciascuna coppia che il protagonista incontra è il ritratto di un tessuto sociale al quale lui non appartiene e ogni visita fallita ce lo mostra come un estraneo al mondo in cui dovrebbe andare a vivere il figlio, cosa che fa aumentare nello spettatore l’empatia per la sua incapacità di prendere una decisione mentre cerca di affrontare un dolore impossibile nel miglior modo possibile. La tragedia vera è che nessuno amerà mai questo ragazzo come lo ama suo padre, la consolazione che il film offre è che ci sono comunque persone che possono avvicinarsi ad un affetto di tale portata che solo la genetica è in grado di regalare.