Cronaca

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Si apre uno spiraglio per uno sconto di pena per Evaristo Scalco, condannato a 23 anni per il delitto di Javier Alfredo Miranda Romero, ucciso con un arco nel novembre 2022 in vico Mele al termine di una lite per schiamazzi
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di Michele Varì

La Cassazione regala uno spiraglio per ridurre la pena di 23 anni all'artigiano Evaristo Scalco (nella foto a destra) che nella notte fra il 1 e il 2 novembre del 2022 dalla finestra di casa uccise con una freccia il 41enne Javier Alfredo Miranda Romero (nella foto a sinistra) nel centro storico di Genova. Un delitto che fece parlare proprio per l'arma usata per uccidere.

Rivedere alcuni punti dei criteri con cui è stata calcolata la pena

I giudici hanno accolto la richiesta degli avvocati del foro di Milano Federico Pensa e Jacopo Papa che difendono Scalco a riformulare alcuni punti che hanno portato alla conferma della condanna di primo grado da parte della Corte di Assise di appello di Genova, che ora dovrà spiegare come è arrivata a stabilire la pena di 23 anni.

Scalco uccise Javier Alfredo Miranda Romero dalla finestra della sua abitazione di vico Mele colpendolo all’addome con una freccia a tre punte da lui stesso costruita.

Nuovo processo di appello entro fine estate

La sentenza era stata emessa lo scorso dicembre, il nuovo processo per rivedere la pena potrebbe avvenire entro la fine dell'estate.

Per Scalco, che sta scontando la pena nella sua casa di Luino, in provincia di Varese, si profila uno sconto di pena forse non di grande entità ma importante perché significherebbe avvallare la tesi dei suoi legali, ossia che Scalco ha fatto una follia che è giusto che paghi ma non si tratta di un delinquente bensì di una persona con sani principi che ha subito compreso la gravità di quanto ha fatto.

I giudici della corte di assise d'appello hanno condannato l'uomo perché lo hanno ritenuto colpevole dell'omicidio volontario aggravato dai futili motivi ma non dall’odio razziale, concedendogli le attenuanti generiche equivalenti all’aggravante. A fare appello erano stati i difensori di Scalco Papa e Pensa,

Omicidio volontario per futili motivi


I giudici a fine dicembre confermarono pena e anche le provvisionali per circa 500 mila euro complessivi ai parenti della vittima di cui 200mila al figlio più piccolo di Miranda Romero nato proprio la mattina del delitto.

Residente in Lombardia, Scalco era domiciliato nell’appartamento di vico Mele perché faceva lavori di falegnameria sulle barche ormeggiate porto antico e nel Tigullio.

Quella folle notte nei vicoli

A detta di Scalco i due avevano orinato non lontano dal cancello della sua abitazione. Da lì una lite fra i due e l'artigiano. Poi i due avevano lanciato anche un petardo esploso nella sua abitazione e si erano allontanati, Miranda però era poi tornato verso il vicolo trovando ancora Scalco sul balcone di casa. Da lì una seconda lite: Scalco a quel punto aveva preso una delle frecce più appuntite dell’arco che lui stesso si era fabbricato e aveva colpito Miranda al petto. Quindi era sceso da casa per prestarli soccorso, di fatto aggravando le condizioni del ferito.
L’uomo era morto qualche ora dopo all’ospedale San Martino a causa dell’emorragia provocata dalla freccia. Oltre al figlio appena nato, Miranda - titolare di una ditta edile - aveva anche un’altra figlia all’epoca 18enne.

Il pm aveva chiesto ergastolo

In primo grado il pm Arianna Ciavattini aveva chiesto la condanna di Scalco all'ergastolo, il presidente della Corte d’assise di Genova Massimo Cusatti lo aveva condannato a 23 anni, definendolo una sorta di “giustiziere”.
L’artigiano, ha mostrato “le connotazioni di “uomo d’ordine”, avverso alle ingiustizie e ai soprusi al punto da essere disponibile a esporsi in prima persona, senza ricorrere – come invece avrebbe potuto e dovuto – all’intervento delle forze dell’ordine, pur di punirne gli autori” Una sorta di “giustiziere“, scrive il presidente Cusatti, che “tenendo la finestra aperta egli si è volontariamente esposto a una nuova occasione di diverbio, tanto che verrebbe da dire che quasi l’ha cercata per dare sfogo a un istinto “repressivo” nei confronti dei molestatori notturni del centro storico genovese che ormai era stato irreversibilmente innescato da quel primo, tutto sommato modesto, diverbio”.

Esclusa l'aggravante dell'odio razziale

Ma lo ha fatto indipendentemente dal fatto che fossero stranieri, aveva detto la Corte, escludendo così l’aggravante dell’odio razziale sollecitata dalla Procura in primo grado.

Ha mostrato un chiaro pentimento

E soprattutto, scriveva il giudice, “il comportamento serbato dall’imputato dopo il fatto – sia nell’immediatezza, con i pur malaccorti tentativi di soccorso sia nel prosieguo, con le pur modeste rimesse di denaro inviate agli eredi della vittima documentate dalla difesa come in atti e non contestate dai difensori delle parti civili interessate – abbia manifestato una forma di seria resipiscenza che non può non incidere sul trattamento sanzionatorio”. Per questo il carcere a vita secondo la Corte d’assise non sarebbe stata la pena giusta.

 

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