GENOVA - Questo processo non s'ha da fare a Genova ma in un'altra città. Il procedimento denominato Morandi Bis nato come costola dell'inchiesta principale sulla tragedia del 14 agosto 2018 potrebbe essere celebrato in una sede diversa dal capoluogo ligure.
Lo hanno richieso nell'udienza di ieri svolta sotto la tensostruttura del tribunale di Genova alcuni degli avvocati degli imputati che hanno presentato un'ecceziione per incompetenza territoriale adducendo il fatto che i presunti reati di falso contestati sarebbero stati commessi in luoghi diversi da Genova, in uffici Aspi o Spea di Roma e di Bologna.
Il giudice Lippini ha preso atto della richiesta e dopo essersi riservato la decisione ha rinviato tutto al termine delle udienze già fissate.
Alcuni imputati che devono rispondere dei falsi per il viadotto Paolillo hanno richieste di giudizio abbreviato e un patteggiamento, anche su questo il giudice si è riservato.
In aula anche l'avvocato Alessandra Mereu, legale del Comune di Genova.
L'inchiesta, avviata con 47 imputati, era partita dopo il crollo del ponte e riguardava i falsi report sullo stato dei viadotti, le barriere antirumore pericolose, il cedimento della galleria Bertè in A26 avvenuta il 30 dicembre 2019 e il mancato rispetto delle norme europee per la sicurezza nei tunnel. Per 12 di loro la procura ha proposto il patteggiamento.
Le accuse, a vario titolo, sono falso, frode, attentato alla sicurezza dei trasporti, crollo colposo. Tra gli indagati l'ex Ad di Aspi Giovanni Castellucci, gli ex numeri due e tre di Autostrade per l'Italia Paolo Berti e Michele Donferri Mitelli e Stefano Marigliani, ex direttore di tronco della stessa azienda, tutti imputati al processo sul crollo del viadotto Morandi.
Archiviato il reato di omissione di atti d'ufficio. Secondo gli investigatori della Guardia di finanza, coordinati dai pm Stefano Puppo e Walter Cotugno, i tecnici di Spea ammorbidivano i rapporti sullo stato dei ponti per evitare i lavori. Era stato scoperto, inoltre, che le barriere fonoassorbenti montate su alcuni tratti autostradali erano difettose e si erano staccate causando problemi agli automobilisti. Uno degli indagati aveva anche detto al telefono che erano "attaccate con il Vinavil".
Il 30 dicembre 2019 era invece crollata una parte della volta della galleria Bertè, in A26. Si erano staccate quasi due tonnellate di cemento che per fortuna non avevano colpito mezzi in transito. Anche in questo caso per la procura i controlli non venivano fatti in maniera adeguata. Le due società Aspi e Spea sono uscite dall'inchiesta dopo avere patteggiato per questo filone con circa un milione di euro.
L'istanza presentata dagli avvocati di alcuni indagati perchè i reati di falso contestati sarebbero stati commessi in uffici Aspi e Spea di altre province
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