Cronaca

"Durante costruzione impalcato pila 9 cedette di mezzo metro". I consulenti di Autostrade per l'Italia sostengono che il difetto, confermato dal reperto 132, fu occultato, "si spiegano così sparizioni quaderno cantiere, collaudo e l'allarme di Morandi"
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GENOVA - I vertici di Autostrade per l'Italia e di altri dei 58 imputati per la strage del Morandi nella ormai prossima fase tecnica del processo, cruciale per stabilire cause crollo e responsabilità, si difenderanno puntando il dito contro lo Stato perché quando nel '99 venne affidata la concessione della rete e del ponte ad Aspi nessuno comunicò di un difetto nascosto proprio nella pila 9, lo strallo che ha provocato il crollo.

Un vizio occulto e occultato emerso solo dopo la tragedia del 14 agosto 2018 durante il secondo incidente probatorio dall'analisi del reperto numero 132, ritenuto anche dagli inquirenti il punto in cui è avvenuto il crollo.

Il difetto sarebbe nato nel 1966 durante la costruzione dell'ultima pila, la 9, per un errore nell'iniettare la malta che avrebbe dovuto bloccare i cavi di acciaio, i trefoli, nella rastrelliera alla sommità dello strallo.

Per questo errore quando furono installati e "tirati" i cavi definitivi dentro il calcestruzzo al posto di quelli provvisori situati all'esterno, la rastrelliera si accartocciò e l'impalcato cedette di quasi mezzo metro. Un'anomalia gravissima e clamorosa.
 
I tecnici di Aspi sosterranno al processo che tutti, nel grande cantiere, si accorsero di questo ma nessuno lo fece trapelare all'esterno.

Un grande segreto tenuto nascosto per tanti anni e che spiegherebbe anche alcune anomalie sino ad oggi senza spiegazioni: ad esempio la sparizione del giornale dei lavori della costruzione del ponte, la non effettuazione delle prove di carico della pila nove e l'assenza del certificato del collaudo statico del ponte.

L'errore di costruzione venne "riparato" con cavi d'acciaio di rinforzo orizzontali lungo l'impalcato, nella pancia della strada. Cavi di cui fu poi riferito negli anni '90, in quanto corpo estraneo al progetto, anche all'ingegner Morandi in occasione del rifacimento della pila 11. Ma qualcuno ipotizza che l'ingegnere fosse già a conoscenza del vizio di costruzione.

Ed è per questo forse che il progettista, potrebbero sostenere i consulenti delle difese degli imputati Aspi, già negli anni '80 lanciò l'allarme affinché il suo ponte venisse monitorato con particolare attenzione. Un allarme che dopo pochi anni non avrebbe avuto senso visto che un viadotto dovrebbe avere una speranza di vita di 300 anni. 

Di certo quel difetto di costruzione non fu lasciata nessuna traccia dalla ditta costruttrice, perché sennò avrebbe dovuto rifare la pila 9. Questo avrebbe rischiato di fare slittare la data dell'inaugurazione già fissata e che avvenne in pompa magna nel 1967, con tanto di sfilata del presidente della repubblica Saragat a percorrere per primo il viadotto Polcevera, le cui foto patinate in quegli anni erano su tutte le prime pagine delle riviste non solo italiane.

Ma entriamo nei dettagli e nel contesto di quella che potrebbe essere il cuore della tesi degli imputati ex di Autostrade per l'Italia nella fase tecnica che si aprirà nel processo la settimana dopo Pasqua.

Il difetto di costruzione sarebbe avvenuto durante la costruzione dell'ultima pila realizzata, appunto la 9, in un cantiere che aveva accumulato notevoli ritardi rispetto ala tabella di marcia prevista.

Tutto sarebbe accaduto per un errore in fase di getto di malta della sommità dello strallo, un getto che avrebbe dovuto bloccare i cavi alla sommità dello strallo, dove erano accompagnati nella loro corretta posizione da una rastrelliera metallica intasando tutti gli spazi tra cavi e rastrelliera.

Cosa accadde di preciso non si sa, ma il secondo incidente probatorio avrebbe dimostrato che il getto riuscì ad intasare solo parte dei vuoti, lasciando ampi spazi, lasciando buchi, come quello sulla pila 11, un particolare questo molto importante e potrebbe rendere fragile la difesa di Aspi: perché dopo avere rifatto la pila 11 i tecnici che vigilavano sul ponte non hanno ritenuto necessario fare lo stesso con la 10 e la 9 invece definita come nuova e garantita sino al 2030?

Ma torniamo ai giorni dell'errore di costruzione, al lontano 1966, cercando di capire come sia potuto accadere l'errore.

Quando il peso dell'impalcato venne trasferito dai cavi provvisori ai cavi principali definitivi la rastrelliera si accartocciò (in termine ingegneristico si dice: s'instabilizzo'), i cavi persero il loro allineamento corretto, si attorcigliarono vicino alla sommità e produssero anche un abbassamento dell'impalcato che si stima essere stato attorno al mezzo metro.
 
Molti operai e tecnici nel grande cantiere si accorsero di questo, ma nessuno lo fece trapelare all'esterno né venne lasciata alcuna traccia scritta di questo rilevantissimo incidente. Poiché questo problema si verificò in occasione della più delicata fase di costruzione, non si può pensare che il direttore dei lavori ed i tecnici incaricati della costruzione non se ne siano accorti, quanto mai strano poi che nessuno abbia sentito il bisogno di lasciare traccia scritta di questo evento.
 
Ed è forse per questo incidente accaduto durante la costruzione che la procura nelle sue minuziose indagini non è riuscita a trovare il "giornale dei Lavori" né il "Certificato di Collaudo Statico, e forse per questo quando venne fatta, all'epoca della costruzione, la prova di carico, disponendo decine di camion carichi sul ponte, anzi, questi, vennero disposti - guarda caso - in modo da non interessare la pila 9.

Di certo, l'errore non passò inosservato né lasciò tranquilli i tecnici: negli anni '80, in occasione d'ispezioni periodiche, all'interno del cassone (in altri termini: all'interno della pancia del ponte, quella non visibile dall'esterno) vennero ritrovati cavi di precompressione non previsti nel progetto originale.

Allora interrogato sull'opportunità di rimuovere questi cavi, il progettista Riccardo Morandi pare avesse risposto negativamente. Ma l'enigma rimane: Morandi sapeva dell'errore di costruzione? La risposta poteva arrivare dall'ingegnere braccio destro di Morandi Francesco Pisani, un teste novantenne importante per la procura, però deceduto lo scorso agosto prima di essere ascoltato. Il collegio dei giudici presieduto da Paolo Lepri (nella foto) per interrogarlo vista l'età e le sue precarie condizioni fisiche aveva già predisposto di trasferire un paio udienze nell'aula bunker del tribunale di Roma, dove l'ingegnere viveva. Purtroppo non ci fu il tempo di raggiungere la Capitale perchè le condizioni di Pisani precipitarono.

La ricostruzione del vizio occulto occultato, a detta dei tecnici di Aspi, spiegherebbe anche l'altra anomalia, ossia che già negli anni '80 l'ingegner Morandi aveva lanciato l'allarme affinché il suo ponte venisse sottoposto a specifica manutenzione straordinaria, invocando il degrado provocato dalle piogge acide (che provenivano dalle attività industriali cittadine). Un appello agli esperti apparso molto strano e sospetto: perché invocare un'attenzione per un ponte che doveva essere un capolavoro dell'ingegneria e a soli 13 anni di vita? Perchè chiedere maggiori monitoraggi per un ponte che in linea teorica dovrebbe durare anche tre secoli?

Di quel difetto di costruzione non fu lasciata nessuna traccia, né dalla ditta costruttrice né dai tecnici preposti alla costruzione, perché? Forse, il ritardo accumulato nella costruzione era ormai eccessivo, e demolire e ricostruire una significativa parte della pila 9 avrebbe prodotto costi aggiuntivi e avrebbe posticipato l'inaugurazione del ponte, un battesimo molto atteso che avvenne il 4 settembre del 1967 davanti ai giornalisti di mezzo mondo e alla presenza del presidente della repubblica Giuseppe Saragat che nel percorrerlo lo aveva definito "un'opera immensa", ma anche "ardita" , di fatto quasi una tragica profezia.

 

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