Cronaca

L'esperto in security: "La politica si sorprese che un albanese gestisse stadio". Il tifoso Taccone invece si dice antifascista e mostra i gadget e magliette che produceva: "Anche grazie a noi Preziosi non c'è più". Fileni: "Ecco perché sono grato a Leopizzi"
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GENOVA - L'ultrà Paolo Taccone (foto al centro) detto "bomba" del gruppo Gav, tiene a precisare di non avere venduto merce ufficiale del Genoa, ma solo magliette e gadget da lui prodotti. Merce che poi estrae da un sacchetto e mostra ai giudici e anche ai giornalisti allineandola su una scrivania. L'unica lotta che lui rivendica è quella contro l'ex presidente Preziosi, "che è andato via anche grazie al nostro contributo. E oggi allo stadio si respira un'altra aria".

L'udienza del processo ai 15 ultrà del Genoa sulle presunte estorsioni al club in cambio della cosiddetta pace del tifo dopo le accuse dell'ex presidente Preziosi ai tifosi è stata l'occasione di fotografare uno spaccato del mondo dei tifosi rossoblu e non solo.


Oltre a Taccone, difeso all'avvocato Laura Tartarini, oggi davanti ai giudici ha parlato un altro imputato, l'albanese Arthur Marashi (foto a sinistra), titolare di una ditta che forniva servizi per le tribune, che ha anche raccontato la sua storia di migrante e di grande mediatore e pacificatore, come si descrive lui stesso, negli stadi e anche davanti alle discoteche, dove faceva il buttafuori.

Marashi si dice orgoglioso di essere stato scambiato per agente della Digos e arriva ad accusare di razzismo Rosy Bindi, allora presidente della commissione Antimafia che ai tempi degli scontri degli incidenti di Italia Serbia si disse meravigliata che l'ordine pubblico nello stadio di Marassi "fosse gestito da un albanese".


In aula c'è anche Fabrizio Fileni, detto Tombolone, che non parla ma affida la sua difesa a una memoria scritta di quattro pagine in cui rimarca la grande amicizia con Massimo Leopizzi, il capo della tifoseria rossoblu di cui si dice che lui fosse il braccio destro. Leopizzi, a cui Fileni dice che sarà sempre riconoscente perché gli è stato vicino nei momenti più difficili della sua vita. Fileni scrive anche come da bambino è diventato ultrà frequentando il Club Ottavio Barbieri di via Armenia dove un gruppo di giovani in quegli anni diede vita alla storica della Fossa dei Grifoni. "Leopizzi era già allora una figura carismatica, lui mi rimase molto vicino quando mi feci male e rimasi invalido cadendo in uno stato di depressione, mi spronò ad uscire e reagire, e di questo gli sarò sempre grato". Scrive anche Fileni: "Il Genoa solo passione, mai avuto nemmeno un biglietto omaggio".

A fine udienza  l'avvocato Mauro Casu, che, insieme al collega Andrea Vernazza, difende Artur Marashi, ha detto: "Oggi finalmente è stata data parola anche alle persone che sino ad oggi non hanno potuto parlare ed è stato evidente come tutti con sincerità ed empatia hanno fatto le loro ragioni".

Alla domanda chi è Artur Marashi Casu ha risposto: "Secondo l'accusa uno dei principali imputati, un fornitore del Genoa del servizio hostess nella tribuna centrale e siccome sempre attivo a Genova nei locali, nelle feste, anche come buttafuori, è stato coinvolto nella somministrazione di personale 4AnyJob per fornitore del Genoa, ricordiamo che il numero di steward utilizzati ogni domenica viene deciso dalla questura e i numeri sono elevati, si parla di 350 steward per partita, questo significa avere a disposizione almeno una rosa di 500 steward, e  di questi numeri si parlerà nelle prossime udienze". L'avvocato poi critica il fatto che i pm per dimostrare i pagamenti alle società che gestivano gli steward hanno confrontato i numeri di Samp e di Genoa: "Fare paralleli fra società diverse con storie diverse e affluenza di pubblico differenti risulta, a mio modo di vedere, non calzante in procedimento penale come questo".

Nelle scorse udienze l'ex presidente Preziosi era stato molto duro nei confronti degli ultrà indagati: "A loro del Genoa non è mai interessato nulla. Perseguono solo il loro interesse personale. Usavano il loro potere per ottenere maggiori benefici e denaro cavalcando le difficoltà della squadra".

Secondo i magistrati titolari dell'accusa Rombolà e Vona, il gruppo di tifosi avrebbe costretto con minacce la società nella persona dell’ex amministratore delegato Alessandro Zarbano, a versare i soldi attraverso fatturazioni per operazioni inesistenti in favore della Sicurart, società che forniva gli steward per lo stadio, di cui Leopizzi era socio occulto. Il gruppo era accusato inoltre di avere aggredito i giocatori e gli allenatori quando non vincevano le partite o non giocavano come volevano loro.

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