GENOVA -Il rogo di lunedì sera sui monti Moro e Fasce ha distrutto ben cinquanta ettari di vegetazione: più del doppio di quello di febbraio divampato a gennaio sul versante più a ponente in cui erano stati carbonizzati 20 ettari di terreno.
La fortuna è che ieri sera non c'era vento sennò le fiamme avrebbero potuto arrivare sino alle case.
Gli unici che sono dovuto scappare sono stati due turisti tedeschi che bivaccavano in una tendina nella piazzetta alla fine di via Lanfranco Alberico, allertati dai pompieri quando ancora le fiamme erano ancora lontane e costretti ad allontanarsi dalla zona abbandonando la tenda. Lì il fuoco per fortuna non è mai arrivato.
Il giorno dopo l'incendio, dopo la bonifica effettuata dai volontari e dai mezzi aerei, è l'ora del primo bilancio da parte dei carabinieri forestali della stazione di Prato e del nucleo investigativo del comando provinciale: sicura la matrice dolosa del rogo partito da due parti intorno alle 22 nella parte alta di via Lanfranco da dove il fuoco è salito sino a sotto le antenne, senza però raggiungerle.
I due incendi si sono uniti in pochi minuti in un unico fronte di fuoco, a conferma che l'incendiario (o gli incendiari) hanno agito con grande attenzione, quasi professionisti nell'appiccare il fuoco.
Gli inquirenti hanno interrogato gli abitanti della zona e acquisito immagini di telecamere di sicurezza: esiste già una pista precisa, ma i carabinieri forestali su questo non dicono nulla e non si sbilanciano.
Tutti ricordano ancora le cause del rogo di febbraio che sembravano dolose e invece poi si scoprirono essere colpose: partite da un albero caduto su un traliccio dell'elettricità, per questo a finire sul registro degli indagati sarà il responsabile del traliccio o il proprietario dell'albero forse troppo vicino alla rete elettrica.
Fra gli investigatori più esperti in fatto di indagini sui piromani si raccontano molti episodi assai particolari. Uno dei più curiosi e inquietanti anni fa quando nello scoprire l'autore di alcuni incendi sulle alture della città si accertò che si trattava di una donna che appiccava le fiamme al bosco perché vittima di incubi in cui le appariva il fantasma del papà che anni prima l'aveva violentata: per lei incendiare le radure era come dare fuoco al padre "aguzzino".
Foto @emilie.himeur
IL COMMENTO
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