
Ogni ribellione ha sempre i suoi leader e ogni trattativa per risolvere i conflitti fa emergere una o più personalità, che alla fine in qualche modo la conducono, anche se non sempre la risolvono. E’ accaduto anche per queste “cinque giornate di Genova”, durante le quali abbiamo visto nella rivolta degli operai di Cornigliano e poi degli altri metalmeccanici, un rito “antico” ripetersi. Diciamo “antico” con tutto il rispetto per gli operai, i loro delegati sindacali, che avevano mille ragioni per combattere la decisione del governo, privo di una politica industriale, sconnesso sul tema dell’acciaio in modo preoccupante.
“Antico” perché il moto della ribellione con le occupazioni, i blocchi stradali, i cortei e la città intorno paralizzata, ha ripetuto tattiche e strategie di un tempo che fu nel Novecento, in tanti conflitti scaturiti dallo scontro tra la fabbrica e i suoi padroni. pubblici e privati.
Ma gli operai, i pochi rimasti in questo mondo capovolto, non avevano altre armi che quelle, sciopero, blocco, corteo. E la parte istituzionale, quella della città, del Comune, della Regione, con alcuna responsabilità nella politica industriale, non aveva altro modo che “metterci la faccia”, andare in mezzo alle dimostrazioni e cercare una soluzione anche provvisoria, trovandola, mediando tra le richieste degli operai e il piano del Governo.
Con La città che “soffriva” pesantemente la conseguenza della mobilitazione.
Questa contesa ci ha fatto tornare indietro e ricordare tante battaglie di “quella” fabbrica” (e di altre) , di quelle tute blù e anche di altre forze lavoro, in questa città di fabbriche e di porto e di contese durissime per i posti di lavoro e anche per l’ambiente, con pure le donne protagoniste e poi sulle banchine per i monopoli dei camalli, per le loro esclusive e anche per quelle dei consortili di cui abbiamo perso anche la memoria.
E abbiamo ricordato tanti protagonisti di quelle lotte, che sempre ne hanno avuti, quando il leaderismo era autentico e non era la facciata di oggi.
Ci basta citare sulle banchine Paride Batini e Roberto D’Alessandro e una sfilza di leader sindacali, che una volta battagliavano sotto le sigle della cosiddetta Triplice CGIL-CISL-UIL contro le decisioni dei padroni, che fossero i grandi capi delle aziende Iri, il “padrone” Riva, gli altri industriali, quando ancora esistevano.
Oggi in questo quasi improvviso ( ma non troppo) ritorno all’antico sono emerse le figure di Armando Palombo, il delegato della FIOM- CGIL con caschetto, tuta e megafono e quella del presidente della Regione, Marco Bucci.
La figura del ministro Adolfo Urso, titolare del Made in Italy, che già questa definizione dice tutto, era sbiadita sullo sfondo. Invece Palombo ha retto il suo ruolo difficile, con durezza, decisione, ma anche con la freddezza e la capacità di governo in una situazione estrema: lo spettro di una epocale chiusura definitiva della fabbrica, le moine del governo, i vuoti della sua politica e la città tenuta in scacco dalla sue tute blu.
Marco Bucci, che non ha certo fama di un trattativista ed anzi è sempre stato considerato un decisionista, brusco, dritto nelle sue decisioni, ha mostrato una inedita capacità di interlocuzione tra gli operai disperati e il “suo” governo lontano e sconnesso dal succo della trattativa. Ha detto non mollo e non ha mollato, comportandosi da manager qual è nella ricerca di una soluzione pratica, che poi era quella di convincere i commissari a concedere la continuazione della zincatura e anche un impegno a perseguire l’ipotesi di una statalizzazione della fabbrica, se non spunterà alcun cavallo bianco.
E’ stato abilmente in mezzo alla battaglia, probabilmente sperimentando per la prima volta cosa vuol dire calarsi in una piazza così calda. Anche la sindaca Silvia Salis ha svolto il suo ruolo, scendendo in mezzo agli operai più volte, confrontandosi con il governo sbiadito. Ma forse per lei era più facile, sia perché quella era più la sua parte politica che non quella del presidente Bucci , sia perché c’è la freschezza del suo ruolo e delle sue posizioni anche recenti, sicuramente più aderenti a chi scioperava che non al governo Meloni.
Non si può dire se questa battaglia è finita, anzi molti dubbi e molte ombre restano, non solo quelle indicate da Palombo e dagli altri sindacalisti, con qualcuno di loto totalmente pessimista come Apa della Uil.
Ma certo questi giorni duri per la città intera hanno svelato che la capacità di dialogo e di interlocuzione esiste ancora, grazie alle personalità emerse in questa veste rara in temi bipolari e di contrapposizioni frontali sempre e ovunque.
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leggi tutti i commentiLa lotta degli operai a Cornigliano con Bucci e Palombo leaders di una battaglia "antica"
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