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La guerra interpretata dai bambini
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È difficile spiegare la guerra ai bambini, perché quelli più piccoli, fino a oggi, la hanno vissuta al massimo (e purtroppo) in qualche giochino del telefonino (nel caso, di nascosto perché sono contraria a giochi violenti). Ma, la prima cosa che ho detto a mio figlio grande, 11 anni, quando è scoppiato il conflitto, è stato: “Fammi il piacere di non giocare a giochi di guerra, in particolare in questo periodo”. Lui ha risposto “Sì sì” con quel l’espressione di chi ha capito e non c’è bisogno di aggiungere nulla (almeno così mi illudo che sia...).

Per i miei bambini la guerra è sempre stata qualcosa di mitico e molto lontano, sia nel luogo che nel tempo: qualche racconto dei nonni che la hanno vissuta da piccoli, e di noi genitori che passando da qualche luogo in campagna diciamo “in questo paese la nonna era sfollata” oppure “durante la guerra si nascondeva il cibo perché se arrivavano i tedeschi portavano via tutto”. E poi c’era Pippo Pippo, di giorno dormo di
notte picchio, così, se ho capito bene, i bimbi durante la seconda guerra mondiale chiamavano gli aerei alleati da bombardamento notturno... forse un modo per sdrammatizzare, per esorcizzare la paura attraverso le rime.

A mia figlia di 6 anni ho chiesto se sapeva che era scoppiata la guerra, e lei mi ha risposto: “Certo, e so anche perché. Perché gli ucraini vogliono entrare nella NATO e la Russia non vuole”. Sono rimasta senza parole, nonostante certamente non sappia cosa sia la NATO, ma si vede che ascolta quello che sente e assorbe.

L’altro giorno stavamo guardando un tg (con la dovuta allerta che significa telecomando alla mano, pronta a cambiare canale se le immagini fossero diventate troppo forti). Mostravano famiglie ucraine ospitate, accampate, nella immensa sala da pranzo di un albergo di non so quale città. Ad un certo punto si è vista una bimba correre in questa sala e mia figlia ha detto: “Mamma, ma quella bimba corre ed è felice”. In effetti la bimba rideva. Perché ovviamente i bimbi vivono la loro infanzia, laddove è anche minimamente possibile, anche in guerra, attraverso piccole gioie che possono essere anche solo una corsetta. Ecco, questa frase di mia figlia mi ha commosso.

Sempre la piccina un giorno mi ha detto: “Ma se c’è la guerra allora come mai non siamo in quarantena?”. E io: “Ma che cosa c’entra là quarantene?”. “Perché se scoppia la guerra dobbiamo stare chiusi in casa in quarantena”.

L’altra mattina mio figlio grande mi ha detto di aver sognato “che papà aveva dato un fungo velenoso a Putin e lo aveva ucciso”.
Mi sono venuti i brividi a pensare che se la guerra, così distante fisicamente da noi, entra nei sogni di mio figlio, chissà che cosa sogneranno i bimbi ucraini in mezzo alle bombe, quelle vere, ore e ore nei rifugi sottoterra, con la quotidianità stravolta, i padri a combattere, le fughe in viaggi della speranza. Le giornate trasformate in incubi, e le notti forse, talvolta, a sognare la vita normale