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Inizia la scuola in Liguria, monsignor Tasca fa gli auguri ai ragazzi e alle ragazze per il nuovo anno ricordando "I care" ("mi interessa, ho a cuore"), quel messaggio che rivoluzionò l'educazione in Italia lanciato da Don Milani, che nacque proprio 100 anni fa, nel 1923. E oggi io, giornalista ma prima di tutto mamma, beh oggi penso al mio "I care", a quel che ho a cuore il giorno in cui scavallo l'ennesimo passaggio e mi risveglio con due figli arrivati al liceo.

Non sono giorni semplici, non sono tempi semplici. Per noi genitori, per loro tornati in classe, per i docenti, per chi organizza la scuola. Nella nostra tv, sui giornali, al caffè e nelle chat si parla molto dei nostri ragazzi e della loro educazione. Dei rapporti con i minori non accompagnati in città, della delinquenza, dei comportamenti spesso borderline, delle violenze e di come evitarle, di quanto vivano in un loro mondo "tutto social" e smartphone.

E allora davanti a questo panorama che appare (appare...) desolante dobbiamo continuare a discernere. "I care" oggi per me e per noi genitori ricorda come ci stia a cuore che loro, i figli, stiano bene e si comportino in coscienza: nel pubblico e nel privato. Rispettandosi tra pari, rispettando il prossimo, il docente, l'anziano. Rispettando la ragazzina o il ragazzino con cui escono il pomeriggio. Rispettando - e questo purtroppo lo dimenticano spesso - se stessi. Cito Don Milani nella sua "Lettera a una professoressa": "Così abbiamo capito cos'è l'arte. È voler male a qualcuno o a qualche cosa. Ripensarci sopra a lungo. Farsi aiutare dagli amici in un paziente lavoro di squadra. Pian piano viene fuori quello che di vero c'è sotto l'odio. Nasce l'opera d'arte: una mano tesa al nemico perché cambi".

"We care": leggo spesso e sento negli interventi in tv che noi genitori saremmo una mandria di sciamannati che lasciano alle ortiche i figli pensando che una scuola matrona si debba occupare di tutto. Ebbene scusate ma non è così: siamo padri e madri impegnati e vessati da mille incombenze, ma "we care", abbiamo a cuore loro e il loro futuro e cerchiamo nel nostro piccolo di issare argini per contenerli, ma anche fornire strumenti con i quali possano imparare a leggere il mondo. Siamo felici e speranzosi che le scuole dove li abbiamo iscritti e a cui li abbiamo affidati dalla prima infanzia continuino a supportarci in uno scambio spesso silente di azioni (e analisi delle loro reazioni). Lo facciamo a livelli diversi, in modi differenti, che dipendono dalla nostra cultura e sensibilità, ma lo facciamo.

E poi c'è il loro "I care": quello che noi genitori assorbiamo spesso tra le pieghe dei loro gesti, più che davanti a conversazioni complete. Nel rivolgersi tra amici, in una battuta a tavola. Anche "loro" hanno a cuore il loro presente e il loro futuro. Sognano di costruire squadre di Fantacalcio, è vero, ma poi li sento parlare di come ricostruire una casa di famiglia già progettandola nella mente, mettendo la loro impronta sul futuro; giocano alla Play - d'accordo, per ore - e scrollano all'infinito i video di TikTok ma poi immaginano il loro lavoro da grandi e tra loro c'è chi vuole aiutare, curare, costruire, cambiare. 

Poi torniamo a noi, al nostro "I care" e alle nostre preoccupazioni: non posso nascondere che quella economica resti la più pressante. Ho fatto i conti di questo inizio anno: due liceali a cui acquistare libri, cartoleria, astuccio, zaino, abbonamento AMT, scarpe da ginnastica mi costano oltre mille euro. A cui a settembre aggiungere la quota annuale dello sport, le visite medico sportive: 1600 euro totali, suppergiù. "We care", abbiamo a cuore tutto: il loro benessere fisico, emotivo, mentale, economico. Ma siamo spesso in affanno e preoccupati da questa complessità e difficoltà, perché non abbiamo modo di gestirla con i nostri mezzi. Ricordiamolo, mentre urliamo contro le famiglie assenti e i ragazzi somari.

Allora oggi gli auguri di buon inizio, permettetecelo, li facciamo anche a noi.

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