Nelle ultime due tornate elettorali, Alberto Biancheri ha vinto le comunali di Sanremo anche per merito di liste nelle quali comparivano personaggi dichiaratamente del centrodestra. Il sindaco della città dei fiori, che per legge non può ricandidarsi perché sta esaurendo il secondo mandato, credo si possa definire il più civico dei civici, avendo sempre rivendicato la propria indipendenza dai partiti. Anche se i partiti sono stati nella sua maggioranza.
Biancheri è, almeno secondo la mia visione, la conferma della regola. A Sanremo almeno il 60 per cento degli elettori si professa di centrodestra, ma poi accade che il centrodestra non vinca. Il motivo? I voti li prendono i leader e i personaggi a supporto, che nominalmente fanno i portatori d’acqua ma che sanno ottenere il consenso dei cittadini.
Lo dico perché in questi giorni si fa un gran parlare di civismo politico contrapposto ai partiti. A scatenare la bagarre, che peraltro covava sotto la cenere, è stato il governatore ligure Giovanni Toti, secondo il quale, appunto, bisognerebbe unire tutte le esperienze civiche che percorrono la regione e che sono riconducibili al centrodestra. Toti è scaltro: prova a mettersi a capo di un movimento molto forte e, allo stesso tempo, si propone di tenere insieme le forze di centrodestra, segnatamente Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Tutto con l’obiettivo possibile di tentare un terzo mandato da presidente della Regione.
La benedizione immediata di Claudio Scajola, sindaco di Imperia e peraltro non nuovo a considerazioni a favore di Toti, ha un suo valore intrinseco. Perché lui sul civismo ci ha costruito la schiacciante vittoria al primo turno alle elezioni di Imperia appena cento giorni fa. Tuttavia bisognerebbe mettersi d’accordo su che cosa si intende per civismo. Distanza dai partiti e mani libere da essi è il refrain più ricorrente.
Bene, benissimo. Però a cominciare da Scajola, per arrivare a tutte le altre esperienze simili in Liguria, di centrodestra ma anche di centrosinistra (vedi alla voce Savona), la verità è semplicemente questa: siamo di fronte a persone che per le più svariate ragioni non stanno in un partito, però sono politicamente riconoscibilissime e in un partito nella stragrande maggioranza ci sono stati.
Dunque, la vera differenza non la fa la non adesione a una parrocchia partitica. No, ciò che conta agli occhi dell’elettorato sono in primis il leader e poi le persone che costui sa mobilitare in una lista a proprio sostegno. Così si spiegano le doppie vittorie di Biancheri e Scajola, così si spiega il successo di Francesco Solinas a Sestri Levante (sostenuto dal consigliere regionale di Forza Italia Claudio Muzio), così può dire di aver vinto sul versante del centrosinistra Marco Russo a Savona. Sono tutti dei leader: qualcuno può negarlo?
Del resto, come si spiegherebbe che con solo un paio di iniziative l’ex governatore ligure del Pd Claudio Burlando abbia subito fatto riparlare di sé, impegnando noi giornalisti, e non solo, a immaginare quale incarico potrebbe assumere a beve? Il problema è che dove Burlando, da leader vero e consumato (è stato pure ministro), riesce in un amen, gli altri faticano maledettamente. A cominciare da dentro il suo stesso partito, dove non c’è una questione legata alla concorrenza dei civici, ma semplicemente quella di non avere dei leader capaci di parlare agli elettori. E‘ questo che vale per tutti. Ed è così che nasce il civismo un po’ “peloso” di questa fase.
IL COMMENTO
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