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di Mario Paternostro

La questione del degrado crescente del centro di Genova è una faccenda molto seria e per fortuna, stando alle prime reazioni, la giunta di Silvia Salis sembra non averla presa sotto gamba.
Un degrado cominciato quando si sono svuotate le gallerie di Piccapietra, quelle gallerie che su imitazione di Milano e Roma avrebbero dovuto diventare (e per un certo tempo è stato così) una delle zone commerciali eleganti della città. Boutiques di prestigio, ristoranti, avevano reso vitale il reticolo creato con le costruzioni dell’operazione immobiliare (a suo tempo assai contestata) che aveva cancellato l’antica Piccapietra, quella, per intenderci che girava intorno all’ospedale di Pammatone.
Fatta la cementificazione, i negozi avevano acceso luci nuove e moderne sul centro che più centro non si può della città. Poi l’arrivo della Rinascente che allora non era un centro commerciale e basta, ma uno stile di vita che dalla Milano degli anni Sessanta, valicando l’Appennino era approdato anche nell’ immobile Genova che, dal punto di vista dei negozi era assolutamente sobria. Vetrine antiche di imprese famigliari, grigio e blu, storiche quanto le aziende dell’armamento, dell’edilizia, radicate quanto gli studi legali, prudenti come le banche locali.

La crisi, almeno visivamente, è cominciata col degrado delle gallerie. Poi la botta della chiusura della Rinascente, poi il Moody e così via in un pericolo crescendo forse inizialmente sottovalutato nella sua portata minacciosa.
Ora il rivoluzionario (sempre nell’assoluto rispetto dello stile genovese) “maquillage” del palazzo della Banca Passadore dovrebbe avere acceso una voglia di ripresa del fazzoletto centrale di Genova. De Ferrari, sempre molto vitale anche grazie alla energia di Palazzo Ducale, il teatro Carlo Felice, via Roma magari non ridotta ad abusivo posteggio in seconda fila, la presenza della redazione del Secolo XIX con le luci accese fino a notte inoltrata e galleria Mazzini finalmente restaurata dovrebbero costituire gli elementi di forza del rilancio. Ma ecco che arriva la vicenda proprio della galleria che era, alla fine dell’Ottocento, un salotto ricco di caffè, librerie, luogo prediletto di artisti e letterati. Quattro Giano agli angoli, lo stemma di Genova con i grifi sui lampadari che la illuminavano, amata da Marinetti, che Hans Barth non raccomandava alle signore parlando del ristorante Posta, mentre nella Birreria Zolezi suonava un’orchestrina di dame e nella libreria Ricci giravano D’Annunzio, Nomellini e gli scapigliati liguri.

I negozianti non ce la fanno più a combattere la puzza di urina notturna e a cancellare i resti olezzanti di chi, poveretto, la utilizza per un complicato riposo notturno. I segni dell’abbandono sono evidenti. Ma si tratta di un problema ampio, come ha bene sottolineato l’assessore Beghin, che va al di là del commercio investendo i territori dell’assistenza, della solidarietà, dell’aiuto e soprattutto della sicurezza.
Dunque bisogna muoversi senza perdere tempo. Per farla ritornare ai tempi in cui (e li ricordo molto bene) il commendator Giorgio Savinelli, sulla soglia del suo storico negozio di pipe e di saggi consigli, presidiava il lato sinistro della galleria con la stessa attenzione con la quale governava la Camera di Commercio.
E’ un tesoro urbano da non perdere assolutamente.

Galleria Mazzini a Genova

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