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In vista del congresso dem, è aperto il dibattito sull'identità futura del partito. Molti sostengono debba tornare a essere una forza socialcomunista. Sarà davvero la direzione giusta?
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In una intervista al Manifesto, lo spezzino Brando Benifei, europarlamentare dem che di recente ha lanciato "Coraggio Pd", una piattaforma composta per lo più da amministratori locali e giovani militanti per cercare di rinnovare il partito partendo dal territorio, ha sentenziato: "Dobbiamo tornare a essere una forza di sinistra. Chi la pensa come Renzi andrà via".

Al di là della probabile semplificazione giornalistica, il concetto è chiaro: da tempo il Pd si sta interrogando sul modello di partito che deve essere, socialcomunista o socialdemocratico? Più a sinistra o più spostato verso il centro? Dalla parte dei lavoratori o di Confindustria? Il refrain è sempre lo stesso, da troppo tempo ormai, direi fin dalla nascita, quella fusione a freddo tra due partiti, due anime così diverse ma con valori fondanti simili che nelle origini e nella migliore delle intenzioni avrebbe dovuto portare alla formazione del più grande e moderno partito riformista europeo. E che invece oggi, a distanza di 15 anni, non ha ancora una sua identità chiara.

E allora, hanno ragione Benifei, Orlando, D’Alema e tanti altri, a dire che il Pd deve trasformarsi in un partito socialista, ritrovando quella spinta comunista persa da tempo? Ha ragione Benifei quando dice che il modello che Renzi provò a dare qualche anno fa si è rivelato fallimentare e quindi è meglio spostare l’asse a sinistra e non verso il centro, e lasciare fuori chi non è d’accordo?

Certo, la chiarezza di posizionamento è proprio quella che manca ai dem, ma per capire dove deve andare il Pd servirebbe analizzare anche l’attuale scenario politico italiano. Da una parte abbiamo un centrodestra dove i centristi, i cosiddetti moderati, fanno fatica a imporsi rispetto alla componente maggioritaria che, tra Lega e Fratelli d’Italia, è spostata senza dubbio a destra. Insomma, oggi abbiamo una forza di destra che governa e che ha una identità molto chiara.

Sul fronte opposto, a sinistra, da tempo non ci sono più grandi partiti capaci di catalizzare le istanze del mondo operaio, delle fasce più deboli della popolazione, di chi oggi è sempre più in sofferenza. C’è però il Movimento 5 Stelle che con l’arrivo di Giuseppe Conte è andato a colmare proprio quel vuoto. I grillini oggi sono un partito di sinistra. Populisti, certo, ma pur sempre di sinistra. E il Pd perdendo l’alleanza con loro ha consegnato a Conte la leadership di quell’area politica.

Verso il centro, d’altro canto, sta nascendo quello che viene definito Terzo polo, da non sottovalutare: un’area moderata composta da Azione di Carlo Calenda e Italia Viva di Matteo Renzi, che vorrebbe intercettare, tra l’altro, il voto del mondo cattolico, liberale, dell’associazionismo. L’idea iniziale mai realizzata era quella di costruire una grande casa capace di accogliere tutte le realtà che non si identificano negli estremismi di destra e di sinistra e che fino a poco tempo fa si dividevano tra Forza Italia e parte del Pd. Nelle prossime settimane ci riproveranno unendosi in federazione.

Quindi se i dem si sposteranno a sinistra come molti vogliono e come sembra, c’è il rischio di una fuoriuscita di parte di quell’elettorato centrista che potrebbe indirizzarsi proprio verso il Terzo polo. Dall'altro lato, sono sicuri quelli del Pd, con questa mossa, di riuscire a strappare a Conte e ai grillini i consensi che proprio a sinistra stanno riscuotendo?

Personalmente penso di no: la storia insegna che ogni volta che il Pd si è spostato a sinistra ha scontentato tutti. E che con i soli voti della sinistra non vince. Ha vinto quando è riuscito a tenere insieme tutte le forze che vanno dal centro alla sinistra. Le recenti elezioni politiche sono state l’ultimo, chiaro esempio.

E quindi o i dem sono capaci di ridare vita al progetto iniziale e provano a fare davvero sintesi tra le posizioni che furono dei Ds e della Margherita, per semplificare, riprendendo anche il progetto del tanto contestato Renzi che li portò, però, al 41% mai più visto dopo, oppure mollare l’idea socialdemocratica per spostarsi a sinistra non credo sarà vincente, perché da una parte dovranno combattere con il populismo dei 5 Stelle, dall’altro con il rafforzamento inevitabile dei moderati di centro a cui potrebbero prima o poi fare riferimento anche gli elettori (e perché no, certi partiti) di centrodestra che non si ritroveranno più nelle posizioni eccessivamente di destra di questo Governo. Col risultato che ancora una volta il Pd sarà senza identità.