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GENOVA - Neppure la disinvolta speaker dell'incontro se ne è accorta. Nessuno ha precisato a quale famiglia apparteneva il giovane e brillante studioso che ha aperto la mega cerimonia di celebrazione del 12 Ottobre nel palazzo Ducale, gremito di pubblico e di autorità. Nessuno ha collegato quei 12 minuti di anche inedita ricostruzione sulle genesi della Scoperta colombiana con la parentela stretta, anzi strettissima, tra il suo autore e uno dei personaggi più importanti della storia politica e scientifica di Genova del Novecento: Paolo Emilio Taviani, il leader fondatore della Dc, il ministro e senatore a vita con la carriera politica più lunga e illustre tra i genovesi, uno dei più conosciuti studiosi di Cristoforo Colombo. In questo senso colui che ha storicamente dimostrato quello che a noi interessa di più: la genovesità di Cristoforo Colombo.

Se non fosse stato per le telecamere di Primocanale e per il suo servizio, firmato da Dario Vassallo, non si sarebbe scoperto che quel relatore era Carlo Taviani,  nipote di Paolo Emilio, figlio di Andrea, uno dei sette figli del grande politico genovese.

Dalla morte di Taviani sono trascorsi 21 anni, nei quali la sua memoria non si è certo dispersa anche per la quantità e la qualità dei segni che ha lasciato in questa città e in questa regione, a partire dal cosidetto Rinascimento del 1992, le Celebrazioni, la trasformazione del Porto Antico, lo slancio scientifico e politico, dovuti anche alla sua insistenza e alle sue conoscenze, la vastità e la consistenza dei suoi studi.

Eppure in una cerimonia aperta proprio da un suo nipote, del quale  da nonno, e non soltanto, sarebbe stato certo orgogliosissimo anche perché parlava di Colombo e in qualche modo della genesi della Scoperta, la citazione tavianea non è arrivata. 

Il presidente della Regione Toti, sempre così prolifico e attento ai collegamenti, il sindaco Bucci, sempre così sensibile  alle genovesità, il prefetto Franceschelli, che hanno aperto il lungo e festoso cerimoniale, punteggiato di premi e riconoscimenti, tra nuovi Grifi e nuovi ambasciatori, non hanno collegato.

Taviani junior è stato essenziale e preciso nella sua relazione che aveva Genova al centro, quella Genova di inizio quattrocento che spaziava già verso la Grande Scoperta, ha spiegato descrivendo “deserti di acqua, di sabbia e di carte”, quali sono stati i segni che potevano portare Colombo a tentare la sua impresa.

Ha raccontato del suo lavoro di ricercatore negli archivi e in particolare in quello genovese, immenso per ricchezza e proficuità di contenuti, per spiegare e riassumere la “potenza” genovese, lo zoccolo sul quale poteva poggiare probabilmente il lavoro di suo nonno, autore tra i più incisivi sulla genesi della Scoperta.

A me, vecchio cronista, fortunato collaboratore di Taviani in giovane età, una certa emozione è venuta nell’ascoltare quel Taviani junior, mentre apriva con le sue parole la celebrazione degna che Genova stava doverosamente e efficacemente dedicando alla data più importante della sua Storia.

Ho avuto l’impressione di essere stato il solo. Ma forse mi sbaglio. O forse, insieme al mio amico Mario Paternostro, siamo un po’ nostalgici e anche resilienti (termine molto di moda) nel ripetere che ci vuole un pizzico di cultura in più. Assessore a parte.

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