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Il tribunale di Genova ha bocciato il ricorso della famiglia che deteneva la maggioranza delle azioni dell'istituto
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Il tribunale civile di Genova ha dichiarato inammissibile la domanda di risarcimento di Malacalza sul riassetto Carige del 2019 in cui l'ex primo socio della banca ligure chiedeva oltre 480 milioni di euro di danni. Sono state respinte anche le domande risarcitorie dei piccoli azionisti e del rappresentante comune degli azionisti di risparmio. Respinta anche la richiesta riconvenzionale contro Malacalza.

L'iniziativa legale sul riassetto Carige era indirizzata oltre alla stessa banca anche contro il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi con Schema Volontario di Intervento che ne ha l'80% dopo il riassetto-salvataggio del dicembre 2019, che ha consentito a fine gennaio 2020 all'istituto di uscire dal commissariamento (iniziato a gennaio 2019). Oltre a Carige e al Fitd la causa era poi rivolta contro Cassa Centrale Banca, entrata in Carige in tale operazione con una quota dell'8,3% ricevendo una opzione di acquisto a sconto a due anni, cui ha poi rinunciato a marzo di quest'anno. Alla data dell'assemblea del 20 settembre 2019 in cui è stata approvata la ricapitalizzazione per 700 milioni di euro di Carige, la finanziaria degli imprenditori dei magneti aveva invece il 27,7% del capitale dell'istituto.

Il ricorso dei Malacalza, in particolare, era concentrato su tre punti: il prezzo di emissione delle azioni dell'aumento determinato in violazione del principio della parità contabile; la illegittima esclusione del diritto d'opzione degli azionisti e la determinazione del prezzo di emissione delle azioni in violazione dei criteri fissati dall'art. 2441, 6/o comma del codice civile (sulla relazione sull'esclusione dell'opzione, con relativo parere dei sindaci e la possibilità per i soci di prenderne visione). Nella sentenza di 77 pagine dei giudici genovesi si segnala come "condivisibile l'argomento difensivo offerto da Carige per sostenere l'inammissibilità dell'azione di Malacalza Investimenti srl per violazione del divieto di venire 'contra factum proprium' ossia il divieto di assumere comportamenti e di far valere pretese inconciliabili con l'"onere di coerenza" e con la "regola di autoresponsabilità".

Tradotto in parole semplici il ragionamento: i Malacalza non hanno partecipato all'assemblea del 2019 non depositando le proprie azioni, ma se erano contrari al riassetto avrebbero potuto partecipare votando contro, facendo quindi saltare l'operazione visto che serviva l'assenso dei due terzi dei presenti in assemblea. Sul diritto di opzione, i giudici ricordano molte delle informazioni fornite dai commissari nella documentazione per l'assemblea contestate e dopo aver segnalato che il diritto di opzione non è stato in realtà escluso ma limitato e ricordano, da parte di Carige, come per "l'interesse sociale, sia necessario considerare l'unitarietà dell'operazione complessiva di messa in sicurezza della banca, che prevedeva da un lato la realizzazione di un aumento di capitale funzionale al ripristino dei requisiti patrimoniali, anche in relazione alle richieste di derisking della Bce, e dall'altro la cessione di un portafoglio di crediti deteriorati a Sga, la cui offerta era a sua volta subordinata all'esecuzione del rafforzamento patrimoniale".

Sottolineano tra l'altro come sia "in termini di ragionevolezza che deve essere valutata la scelta dei commissari in ordine alla limitazione del diritto di opzione dei soci ordinari e, al riguardo, il collegio ritiene rilevante sottolineare che le proposte deliberate dai commissari speciali in data 29.8.2019 hanno trovato sostegno nel parere di congruità del 30.8.2019 della società di revisione". Segnalando anche una sentenza della Cassazione del 1970 "secondo cui per escludere o limitare il diritto d'opzione è sufficiente che l'interesse sociale sia "serio e consistente, tale da giustificare che, nella scelta del modo di realizzare l'aumento di capitale, sia ritenuto preferibile, perché ragionevolmente più conveniente, il sacrificio totale o parziale del diritto di opzione dei soci". "Ne consegue che sotto il profilo della limitazione del diritto di opzione per i motivi sin qui illustrati la delibera del 20.9.2019 deve ritenersi legittima".