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L'intervista a uno dei massimi esperti italiani, l'avvocato Sara Armella, esperta di Diritto doganale e presidente della Commissione Dogane
7 minuti e 45 secondi di lettura
di Giorgia Fabiocchi

Si è chiuso al 15% l'accordo sui dazi tra Stati Uniti e Unione Europea, dopo l'incontro di fine luglio in Scozia tra la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il presidente americano Donald Trump. Il 15% riguarderà tutti i settori, dall'automotiv all'agroalimentare, passando per quello farmaceutico. Il taglio scatterà presumibilmente a fine agosto, quando Bruxelles abbatterà i dazi su tutti i prodotti industriali americani, auto incluse. La stangata maggiore, al momento, sarà quella sugli alcolici, dal vino alla birra passando per i liquori, e a pagarne maggiormente le spese saranno proprio i produttori agroalimentari. Il sistema può quindi essere definito "all inclusive": ovvero il 15% incorpora e rappresenta un tetto su eventuali dazi inferiori. Insomma, la telenovela sui dazi ha avuto il suo epilogo. Lieto fine? "È un po' un bicchiere mezzo pieno, e mezzo vuoto. Mezzo pieno perché effettivamente avere certezza del livello dei dazi è fondamentale per le aziende, per poter proseguire i loro rapporti con i distributori negli Stati Uniti, per poter coltivare relazioni di lungo periodo - commenta a Primocanale l'avvocato fiscalista Sara Armella, esperta di Diritto doganale e presidente della Commissione Dogane -. È un bicchiere però anche mezzo vuoto perché il 15%, specie in alcuni settori, pensiamo al vino, rappresenta un'incidenza molto significativa. Fino a oggi sul vino le tariffe erano vicine allo zero quindi passare al 15% significa gravare tantissimo sull'acquirente statunitense. A questo dobbiamo anche aggiungere che c'è stato negli ultimi mesi un indebolimento del dollaro rispetto all'euro".

Che cosa significa tutto ciò nello specifico?

"Significa che quando un acquirente statunitense compra un prodotto europeo ha già un aggravio di costi in termini di tasso di cambio sfavorevole. Oltre a questo il 15% rappresenta un onere che per molti potrebbe essere estremamente pesante da sostenere".

Avvocato, è stata quindi una conquista passare dal (rischio) 27,5% iniziale al 15% finale? La premier Meloni ha detto che è una notizia positiva da cui ripartire, è d'accordo?

"Sono parzialmente d'accordo, credo che sia un dato di fatto che i nuovi dazi del 15% rappresentano per molti settori un peso che fino a oggi non era previsto. Quindi in alcuni settori effettivamente il peso dei dazi inizia a essere particolarmente significativo, in altri per esempio per quanto riguarda le automobili o la componentistica auto, siamo effettivamente scesi dal 27,5% al 15%. Non dimentichiamo, però, che all'inizio dell'anno i dazi sulle auto erano decisamente più bassi, intorno al 10%, quindi questa escalation l'abbiamo avuta come scelta politica del presidente Trump che è intervenuto sull'Unione Europea e su molti altri paesi. Detto questo, vediamo anche le cose positive, questo tetto del 15% ingloba anche ogni altro dazio. Quando confrontiamo la nostra situazione con i prodotti inglesi, che hanno un dazio al 10%, significa che quella tariffa si va ad aggiungere a quelle già esistenti".

Tradotto, cosa significa?

"Facciamo un esempio: a un prodotto che ha già una tariffa del 15% si deve aggiungere un ulteriore 10%, perché la Gran Bretagna è fuori dall'Ue. Invece per l'Italia e per tutta Europa il tetto del 15% è un tetto di natura massima e quindi i prodotti hanno una tassazione che non può essere più elevata, tranne in alcuni settori specifici, come acciaio e alluminio che hanno un dazio molto elevato e questo rappresenta un disincentivo. È anche vero che dobbiamo considerare gli aspetti positivi di questo accordo, come la stabilità nei rapporti, i contratti che possono riprendere con efficacia, con determinazione, perché comunque abbiamo un orizzonte temporale a cui guardare con una certa sicurezza e soprattutto con la consapevolezza che altri prodotti di altri Paesi hanno invece dei dazi più elevati. Questo ci pone in una posizione competitiva rispetto agli altri, che stanno faticando sul mercato, come India, Brasile, Cina".

Avvocato, ci spieghi che cosa è stato deciso e come si può leggere il pacchetto del 15% sui prodotti farmaceutici, la chimica, su questo settore, perché sembrerebbe essere andata bene rispetto ai prodotti farmaceutici e al settore dei farmaci?

"I prodotti farmaceutici sono oggetto da alcuni mesi di un'indagine specifica avviata ai sensi della sezione 232. Si tratta di una tipologia di indagine che può essere avviata dagli Stati Uniti per andare a interessare particolari settori su cui è necessario intervenire con delle misure straordinarie, con dei dazi all'importazione straordinari per tutelare particolari ambiti sensibili. Si parla addirittura di sicurezza nazionale. Ebbene, sul settore farmaceutico era in atto questo tipo di indagine che colpiva particolarmente i prodotti italiani, perché pensiamo che la farmaceutica è proprio uno dei primi settori trainanti dell'export dall'Italia verso gli Stati Uniti. Quindi erano stati minacciati dazi fino al 200%. Questo aveva ovviamente preoccupato moltissimo le case produttrici italiane: l'aspetto importante della dichiarazione che è stata diramata ieri consente proprio di dire che il tetto massimo di questi dazi sarà del 15%. Quindi questo è veramente un aspetto estremamente importante. E senza dimenticare un ulteriore aspetto, che i farmaci cosiddetti generici e anche le componenti chimiche che servono per produrle sono invece esonerati dalla tassazione del 15%. Sono riportati al livello di tassazione precedente. Per molti di essi era già previsto un livello di dazio zero. Quindi all'interno della categoria farmaceutica noi troviamo diverse tipologie di prodotti che hanno diversi livelli di dazi. Quello che possiamo dire è che l'accordo sul 15% è sicuramente migliorativo".

Armella, parliamo della Liguria: chi sono i produttori che in questo momento rischiano di essere maggiormente colpiti?

"I settori interessati dall'export, per quanto riguarda la Liguria, sono chiaramente quelli dell'agroalimentare, però anche la cantieristica e tutti i settori collegati all'economia del mare che hanno rapporti diretti con gli Stati Uniti. Anche per l'acciaio e l'alluminio abbiamo alcune nicchie di produzioni molto forti, produzioni farmaceutiche, chimica, meccanica".

Cosa fanno le aziende in questa fase?

"Ogni azienda che esporta verso gli Stati Uniti è chiamata oggi a fare un'attenta analisi della tipologia dei prodotti che esporta per capire se rientrano nello schema del 15% che interessa la stragrande maggioranza dei prodotti oppure per valutare eventuali nicchie di esenzione in cui è sempre opportuno poter fare delle considerazioni. È molto importante guardare i contratti all'estero per verificare se il dazio dovuto all'ingresso negli Stati Uniti è a carico dell'acquirente o è a carico dell'azienda che fornisce il prodotto, l'azienda ligure che sta vendendo. C'è una clausola che si chiama DDP che prevede esattamente questo, cioè che il dazio dovuto alla frontiera estera viene caricato, deve essere pagato, deve essere dovuto da parte del soggetto venditore, quindi la mappatura dei prodotti che vengono venduti verso gli Stati Uniti, mappatura dei contratti all'estero e poi un'attenta considerazione delle regole di origine. Se è un prodotto europeo, è un prodotto italiano ha diritto ad un dazio che abbiamo detto è del 15% in senso generale, però attenzione ci sono alcuni prodotti esteri che ricevono in Italia, in Liguria, una lavorazione che non è idonea a fare acquisire l'origine doganale italiana. Facciamo un esempio, un'azienda acquista dall'estero un apparato elettrico viene fatto in Italia soltanto un lavoro di collaudo e di cambio di etichettatura e di confezione, ebbene questo tipo di lavoro non è sufficiente per poter dire che il prodotto è italiano, quindi il prodotto una volta esportato verso gli Stati Uniti sconterà il dazio Cina e non il dazio Italia".

Il 15% quanto andrà a carico di un produttore agroalimentare?

"Allora, dal primo punto di vista il tema del 15% è un tema che normalmente viene pagato dall'acquirente estero. Un'azienda che esporta verso gli Stati Uniti il basilico, dovrebbe essere pagato in linea generale dall'acquirente estero, quindi dall'azienda cliente verso la quale la mia impresa ligure sta vendendo. È chiaro però che l'azienda estera che deve farsi carico del 15% dovrà tenere conto di una revisione dei costi e quindi chiederà spesso un sacrificio anche alla nostra azienda produttrice. Questo quantomeno è la prassi fino a oggi. Parlando ovviamente quotidianamente con moltissime imprese interessate dei dazi verso gli Stati Uniti, abbiamo preso atto di una prassi che si sta consolidando, cioè di cercare in qualche modo di farsi carico di questo maggior dazio, un po' a carico di chi vende verso gli Stati Uniti e un po' da parte di chi acquista negli Stati Uniti. Spesso si fa proprio a mezzo, si fa un 50% a testa".

Avvocato, secondo lei l'Italia, la Liguria nello specifico, pagherà "dazio" rispetto a questo? Ci sarà una maggiore crisi economica, oppure alla fine si riuscirà a gestire questa situazione?

"Ci sono state moltissime analisi in questi giorni, ne ha parlato l'altro ieri Christine Lagarde della Banca Centrale Europea, ne hanno parlato le istituzioni internazionali, la World Trade Organization tre giorni fa: c'è una contrazione evidente negli scambi internazionali per effetto dei dazi. Quindi certamente dobbiamo essere consapevoli che non è tutto come prima, c'è un cambiamento importante e questo cambiamento importante deve essere gestito".

Come?

"In parte, se possibile, rimodulando la propria politica di prezzi e mantenendo delle relazioni consolidate con gli Stati Uniti, trovando degli accordi anche con gli agenti distributori statunitensi. E in parte guardando anche altrove, perché non dimentichiamo che l'Unione Europea, la più grande rete di accordi di libero scambio del mondo, sono oltre 70 i Paesi verso i quali possiamo esportare senza dazio alla frontiera, quindi in condizioni molto più vantaggiose rispetto a quello che gli Stati Uniti stanno facendo con noi adesso. E quindi è giusto in una politica di export intelligente cominciare seriamente a guardare ad altri Paesi e altri contesti e rafforzare la nostra presenza in quei paesi".

Sara ArmellaL'avvocato fiscalista Sara Armella

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