
“Bisogna sapere ascoltare”. Sono le ultime parole che don Gallo mi disse al termine di un’intervista che gli avevo fatto a San Benedetto poco prima delle elezioni politiche nel marzo del 2013. Era già consumato dalla malattia , ma se possibile la sua energia interna, la passione, era ancora più forte del solito. Anche quella politica che spesso lo accendeva.
Il don era un tutt’uno con la sua Comunità, fondata esattamente cinquantacinque anni fa, nel 1970, anno per Genova particolarmente drammatico, con l’alluvione catastrofica, con il sequestro Gadolla, il naufragio della “London Valour” scaraventata contro la diga foranea, le prime azioni di Radio Gap, annuncio della comparsa dalla banda XXII Ottobre e quindi degli anni di piombo. Una comunità controcorrente. Spiegava il prete del Carmine che la sua era una comunità che non voleva diventare “un’ isola assistenziale, ma il soggetto promotore di un radicale cambio di prospettiva: dai bisogni ai diritti.” La Comunità intesa come “palestra di vita”.
Cambiava il punto di vista del problema e questo cambio nella storia dell’assistenza genovese, storia antica e grandiosa, era una vera rivoluzione anche politica. La scelta delle “porte aperte” sempre a qualunque ora del giorno e della notta e a chiunque.
L’ascolto. E’ stato sempre il chiodo fisso di “Gallo”.
Ascolto degli Ultimi, ascolto dei deboli, ascolto dei diseredati. Lo ha fatto in una vita lunga, ricca di fatti, lotte, vittorie e anche delusioni. Don Andrea Gallo è stato per chi ha la mia età, il prete del Carmine, la chiesa dove fu battezzano Palmiro Togliatti, la chiesa delle contestazioni del ’68. Il don era quello che raccoglieva i ragazzi, gli studenti del vicino liceo classico Colombo, meno conformisti di altri, e li avvicinava a mondi sconosciuti, abbassando paratie divisorie di classe e di abitudini consolidate.
Era il don Gallo un prete di strada, il prete delle prostitute e dei drogati che morivano nei vicoli con la siringa in mano, il sacerdote che li aveva ospitati a San Benedetto insieme a don Rebora che lo aveva accolto dopo che era stato “castigato” dal cardinale Siri. Non il prete che si occupava di droga, ma il sacerdote che stava con i drogati. E non solo con loro, perché col trascorrere degli anni la sua comunità è diventata il rifugio di chi era costretto a stare ai margini: margini umani e sociali, politici e religiosi.
In realtà proprio con Siri aveva un rapporto spesso di grande e reciproco affetto. Diceva il cardinale di lui: “il mio prete”. Rispondeva di rimando Gallo: “il mio vescovo”.
E per Siri pregò quando il vecchio arcivescovo si fermò ammalato.
Don Gallo politico è quello che più ha suscitato dissensi, ma anche grandi passioni. La destra genovese non gli ha mai perdonato il suo essere stato al fianco dei no global del G8 nel 2001, poi con i partiti della sinistra, poi con i vendoliani e infine con il sindaco di allora, Marco Doria. Era stato anche trovato un anti-Gallo in don Gianni Baget Bozzo, prete intellettuale e intelligente, spesso anche questo in fortissima polemica con Siri, diventato alla fine consigliere politico e europarlamentare di Silvio Berlusconi.
Don Gallo, il prete partito dalla ricca, ma sobria Castelletto, il quartiere del voto definito con un certo disprezzo “cattocomunista”, da una Genova , per questo motivo, bene ma non tanto , è stato un vero Buon Cristiano, pronto a aprire le porte senza chiedere a chi bussava: chi sei? E se ha avuto qualche eccesso mediatico credo che gli sia stato gli perdonato, proprio perché è stato un uomo profondamente buono. Buono come lo intende il Vangelo di Gesù.
Domani Genova lo ricorderà nella sua Comunità, nella sua chiesa vicina al porto, ricorderà il lavoro eccezionale fatto e continuato fino a oggi in questi 55 anni difficili, soprattutto per le persone più fragili. La Comunità di San Benedetto , grazie al lavoro dei successori del “Gallo” è una delle belle cose genovesi, le cose destinate a identificare lo spirito concreto di una città. L’ascolto, l’aiuto, le porte aperte di San Benedetto, di Sant’Egidio, di San Marcellino, del Ceis di Bianca Costa, della Caritas diocesana, della Gigi Ghirotti di Franco Henriquet.
Cose di cui la città si può vantare senza possibilità di essere smentita, per l’idea dei fondatori, per la tenacia con cui hanno lavorato e soprattutto, per la forza incredibile dell’esercito dei volontari che tra difficoltà crescenti e oggi colossali, dovute alle crisi economiche, tirano avanti con i miracoli. Che non bastano. Ecco che nei piani della Regione Liguria e del Comune di Genova queste realtà debbono occupare un posto in prima fila, un posto d’onore. Intendo dire che gli amministratori, chi governa, deve dare a loro un posto speciale nella distribuzione dei sostegni economici. Devono battere tutti.
Nei giorni del Natale e delle feste, la necessità dell’aiuto e l’importanza delle comunità di ascolto, come San Benedetto, ci testimoniano quale sia la realtà quotidiana di decine di migliaia di persone.
E ci spingono con forza a non fare gli indifferenti.
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