Politica

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La lettura dei risultati delle primarie in Liguria offre molti spunti. Vediamone alcuni. Il primo è che il Pd è tornato un partito forte, e che nonostante le liti interne che hanno raggiunto livelli incredibili e gli scandali sessuali dell’ultimo momento, il popolo lo segue, lo vuole, lo sostiene. Genova, poi, si conferma una città di centro sinistra e questo dato dovrebbe tranquillizzare il presidente Burlando in vista delle prossime elezioni.

Ma quello che importa di più il risultato di Lorenzo Basso, il “giovane sconosciuto” che secondo alcuni avrebbe dovuto essere schiacciato dalla forza popolare e storica di Sergio Cofferati. Basso ce l’ha fatta e finalmente il popolo democratico ha deciso che la guida del partito in Liguria sia affidata davvero a uno nuovo, non riciclato, ripescato, riverniciato. E’ un cattolico e questo dovrebbe dare serenità ai cattolici del Pd che dopo la fuga del senatore Gustavino, dopo le critiche aperte di Massimiliano Costa che potrebbero portare addirittura a scelte clamorose, temevano svolte a sinistra, “comuniste” nel partito se avesse vinto Bersani.

Cofferati batte il suo referente nazionale Franceschini, segno che l’ex leader della Cgil a Genova conta molto, ha un peso umano e “professionale” che non si discute. Infine lo straordinario successo del chirurgo genovese Ignazio Marino che con oltre il 14 per cento conterà all’interno del partito e sarà l’anima laica e libertaria. E a Genova il suo referente, il medico Ermanno Pasero, anche lui semisconosciuto, trionfa con un 16 per cento.

Tutti questi dati dovrebbero far riflettere i dirigenti del partito, riossigenato dalla gente che, finalmente, ha detto a chiare lettere che vuole un ritorno alla politica vera, fatta di programmi, decisioni, opposizione seria, sui fatti e non sulle escort o i transessuali. Tutto questo anche in Liguria: problemi veri, progetti concreti e non promesse e parole al vento. E i progetti devono essere pochi e decisivi: lavoro giovanile, scuola e università, sanità. E ha dimostrato, infine, che il “popolo” vuole contare e votare i candidati che preferisce e non quelli imposti dai capi.