"Vivo la riapertura delle indagini con la speranza che finalmente trovino l'assassino di mia figlia. Vorrei giustizia, che questa persona pagasse per quello che ha fatto".
A parlare ai microfoni di Primocane è Silvana Smaniotto, madre di Nada Cella, a venticinque anni dall'omicidio della figlia si trova adesso di nuovo sotto i riflettori, dopo la riapertura delle indagini e l'attenzione degli inquirenti riaccesa su una sospettata, Anna Lucia Cecere, riportata al centro della vicenda grazie alla tenacia della criminologa Antonella Pesce Delfino.
Dalle indagini emerge la questione delle telefonate anonime che parlavano di una certa Anna. Una era arrivata subito, nel maggio del 1996, stesso mese dell'omicidio, parlava di una certa Anna con un motorino davanti allo studio. "L'ho scoperto di recente, non so perché non sia stata approfondita, non si lascia niente indietro in un'indagine del genere".
Un'altra chiamata anonima era arrivata ad agosto nello studio di Soracco, sempre a proposito di una certa Anna.
"Voglio fare un appello: chi ha fatto queste telefonate anonime - spiega Silvana Smaniotto - si palesi, è una cosa molto importante, soprattutto per me. Io non voglio un assassino qualunque, voglio il vero assassino, voglio sapere chi ha ucciso mia figlia".
C'era qualcuno che pensava di sapere tutto, c'era un mendicante che aveva parlato della Cecere con la mano fasciata e sanguinante. "Io e mio marito - ricorda la madre di Nada - eravamo saltati sulla sedia perché lo avevamo visto in tv, poi all'indomani hanno smentito e non se n'è più sentito parlare".
Il dettaglio che ha fatto riaprire l'indagine sono i cinque bottoni, uguali a quello trovato in macchia di sangue nell'ufficio della vittima: un particolare a suo tempo completamente trascurato dagli inquirenti. "Sono molto ferita da tutto questo, quando ho saputo ci sono rimasta male perché non so il motivo per cui questa cosa non sia stata fatta allora".
Il ciclomotore Piaggio della Cecere è stato sequestrato e verrà sottoposto alla prova del luminol. "Non ho mai perso la speranza - dice la Smaniotto - noi mamme siamo forti, determinate".
La madre di Nada, che ha sempre lottato per la verità incontrando molte persone, ha parole affettuose per la studiosa che ha riaperto il caso: "La telefonata di Antonella Pesce Delfino è stata importante, io la chiamo il mio angelo, ha fatto di tutto e di più, ha letto tutte le pagine delle indagini. Ma molte persone hanno collaborato, ringrazio l'avvocato Sabrina Franzoni, l'ex procuratore Francesco Cozzi e il pm Gabriella Dotto, anche un carabiniere che adesso è in Procura, si chiama Luigi Modesti, aveva confidenza con mio marito e anche lui ha lavorato molto".
La Smaniotto è laconica anche sui rapporti con Soracco, il datore di lavoro della figlia, sul quale si erano appuntate le attenzioni dell'opinione pubblica come possibile sospettato. "Non ho mai avuto la possibilità di parlare con lui, l'ho fermato una volta forzatamente ma non ha aperto bocca".
Molti erano convinti che il colpevole fosse lui e forse questo ha rallentato le indagini? "Qualcuno - dice la madre di Nada - non ha detto la verità, noi abbiamo espresso i nostri sospetti ma non so se dall'altra parte lo abbiano fatto".
Soracco e la madre sono stati indagati di recente per non aver detto tutto, ma già allora la Cecere era al centro di sospetti. "Però - obietta la signora - la sua posizione era stata subito archiviata perché aveva detto che si sarebbe suicidata... Non erano stati trovati indizi a suo carico? Forse perché non li hanno cercati. Se ci sono adesso c'erano anche allora, forse erano meglio di adesso. La polizia giudiziaria avrebbe dovuto prendere in carico tutto quello che avevano trovato i carabinieri e andare avanti". Invece il sostituto procuratore Filippo Gebbia aveva archiviato la posizione della Cecere.
In ultimo, un ricordo di Nada: "Era mia figlia, ai figli noi genitori si perdona tutto, per una madre la figlia è la più bella di tutte e lei era bellissima".
cronaca
Delitto Cella, appello della madre di Nada: "Chi ha fatto telefonate anonime parli"
Due chiamate non identificabili avevano già indirizzato nel 1996 le indagini sulla donna indagata oggi
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