cronaca

Il vertice tra i potenti del pianeta rischia di portare altri disagi in una città già fiaccata
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 Quando i vertici internazionali si abbattono su Genova, di solito se ne parla (male) per gli anni a venire. Lo abbiamo appena visto col ventennale del G8 del luglio 2001. E' quindi con notevole sprezzo del pericolo che la presidenza italiana del G20 (gli iscritti al club nel frattempo sono aumentati) ha scelto la nostra città e i Magazzini del Cotone, per la tre giorni di congresso 27-29 settembre intitolato, traduciamo dall'inglese che ormai sembra essere diventata la lingua ufficiale anche del nostro governo "Conferenza specialistica sugli investimenti nelle infrastrutture territoriali".

Oltre ai rappresentanti delle istituzioni locali nelle vesti di padroni di casa, interverranno in rappresentanza dell'Italia tre ministri importanti del governo Draghi quali Daniele Franco (Finanze, Bilancio e Tesoro), Enrico Giovannini (Trasporti, Infrastrutture e Mobilità sostenibile) e Roberto Cingolani (Transizione ecologica). A rappresentare invece il mondo delle imprese specializzate italiane, dirigenti come Giuseppe Bono, Ugo Salerno, Roberto Purcaro, Nicola Meistro, Alberto Maestrini, Alessandro Zanguio e Roberto Carpaneto.

Il congresso del G20 vedrà sul tavolo molti argomenti, ma suona sottilmente beffardo in una città e in una regione costantemente soffocate proprio dalle carenze infrastrutturali. Il porto di Genova che, quando i Magazzini del Cotone ospitavano non congressi ma appunto cotone, era stato il primo del Mediterraneo e quindi del mondo, arranca nelle prospettive di sviluppo per la fatica che fanno le merci ad arrivarvi o, una volta sbarcate, a ripartirne. La metropolitana monolinea del capoluogo, ritagliata fra vecchie gallerie del tranvai e rifugi bellici perché non si butta via niente, è corta come la giovinezza. La ferrovia è grosso modo quella costruita sotto il Regno di Sardegna e non conosce alta velocità, anzi nemmeno la velocità e bòn. La rete autostradale infine è vecchia e cadente e infatti pericolosa, come dimostrano sia la tragedia del Morandi sia l'equivoco sollievo provato per una ricostruzione che, tutto sommato, null'altro ha fatto che riportare la situazione al 1967, quando capo dello Stato era Saragat e presidente del Consiglio Aldo Moro, quest'ultimo oggi a Genova ricordato con la Sopraelevata che è il simbolo del dilemma infrastrutturale.

Ecco, appunto. Attorno alla FAO, nata per combattere la fame nel mondo, gli ambienti diplomatici ordiscono leggende di humour nero
a proposito della qualità dei pranzi di rappresentanza, in cui si perderebbe gran parte del bilancio dell'ente. Così anche questo G20 sulle Infrastrutture, tenuto nella città che se pensa alle infrastrutture le viene in mente il cappio insaponato del boia, rischia di diventare un paradosso: afflusso e deflusso in sicurezza dei maggiorenti convocati, infatti, potrebbe provocare altre code, altri ingorghi, altri disagi. Una pena omeopatica che Genova non merita.