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In sala 'Old' di M. Night Shyamalan e 'Marx può aspettare' di Marco Bellocchio
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Fin dai tempi del ‘Sesto senso’ M. Night Shyamalan si è sempre dimostrato regista talentuoso e creativo, affascinato da atmosfere fanta-thriller ma spesso non in grado di tradurre una buona idea in qualcosa di completamente compiuto. ‘Old’, il suo ultimo film, non sfugge molto a questa premessa: una vicenda inquietante che finisce per tradire i buoni presupposti da cui parte. E’ la storia di una famiglia – padre, madre e due figli – in vacanza in un resort di lusso che finisce insieme ad altre persone su una spiaggia misteriosa dove le cellule del corpo invecchiano a un ritmo accelerato e le lancette dell'orologio girano così velocemente che tutti finiranno per morire di vecchiaia nel giro di poche ore. All'escalation degli eventi i vari personaggi reagiscono in modo diverso cercando di scoprire cosa sta succedendo e come uscire da lì, cosa tutt’altro che semplice.

‘Old’ è un horror surreale dove il merito principale di Shyamalan è di riuscire a creare un senso di claustrofobia in un luogo completamente aperto, il che regala al film un’atmosfera subliminale di terrore. Laddove invece si perde è in una sceneggiatura che a volte risulta inadeguata e perfino un po’ goffa anche se i temi che mette sul tappeto - il senso della fine che arriva, la battaglia per non invecchiare, il dover lasciare la famiglia quando non sei pronto – sono tutt’altro che banali. In ogni caso, pur lontano dall’essere tra i suoi migliori film (’Il sesto senso' o ‘Unbreakable’) non è nemmeno il peggiore di un regista purtroppo molto discontinuo. Al di là del genere thriller misterioso, forse funziona meglio come meditazione sulla brevità della vita e poiché tutti noi abbiamo sopportato la pandemia e forse anche perso qualcuno dei nostri cari, può essere un promemoria utile per aiutarci a cogliere l'attimo.

Di altro spessore è ‘Marx può aspettare’ di Marco Bellocchio presentato al recente Festival di Cannes nell’occasione della consegna della Palma d’Onore al suo autore. Un documentario che parte dal dicembre 1968 quando il fratello gemello del regista, Camillo, ‘l’angelo felice e divertente della famiglia’, si toglie la vita. Marco stava iniziando una carriera partita col grande successo de ‘I pugni in tasca’ mentre Camillo non riusciva a trovare il suo posto all'interno di una famiglia di intellettuali vivendo in una malinconia permanente. Un giorno, Marco disse a Camillo che era necessario schierarsi con gli eventi del maggio francese di quell’anno e lui gli rispose candidamente "Marx può aspettare", frase che il regista non capì fino a quando non ebbe la notizia del suicidio. Per il fratello, evidentemente, c'erano cose più importanti che avevano a che fare con gli affetti più vicini, incapaci di comprendere la persona fragile che viveva insieme a loro.

Quello di Bellocchio è un viaggio intimo, quasi una specie di cineterapia, nel quale riunisce la sua numerosa truppa familiare per cercare di capire a distanza di anni perché nessuno, lui in primis, si fosse mai accorto di nulla. I ricordi si sovrappongono l’uno all’altro mentre trova in quel racconto nascosto corrispondenze con gli aspetti più importanti della sua filmografia. È come se il vecchio regista abbia voluto fare una confessione personale, dare qualche indizio in più per farci capire da dove vengono le sue immagini, il suo interesse per lo squilibrio mentale e le sue descrizioni di certi mondi in crisi.

‘Marx può aspettare’ è in definitiva la toccante rappresentazione di una famiglia che elabora un dolore pluridecennale, un esame del rimpianto e dell'inafferrabilità della catarsi e la bellissima opera di un artista che anche adesso che ha superato gli ottant’anni non smette di guardare dentro se stesso e ciò che lo circonda.