salute e medicina

Ma bisogna subito pensare al nostro sistema sanitario
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Incrociamo le dita, facciamo tutti gli scongiuri di cui siamo capaci (anche quelli meno convenienti), dotiamoci di tutti gli amuleti antichi e moderni e, ovviamente, ascoltiamo la legione di esperti che abbiamo imparato a conoscere e di cui – confessiamolo – incominciamo a non poterne più.


E facciamo questa riflessione: se il virus finisce veramente sotto controllo, se diventa endemico, se i vaccini contengono lui e le sue improvvise e imprevedibili varianti, se la vita ritorna nella sua pienezza, se torneremo ad assomigliare a quelli che eravamo, non del tutto perché la pandemia ci avrà inesorabilmente cambiato…

Se tutto questo avviene bisogna subito pensare al nostro sistema sanitario, squassato da quasi due anni di tempesta, modificato nelle sue fondamenta, perfino nelle sue viscere e ora come un campo di battaglia dal quale gli eserciti se ne stanno andando, si smontano le fortificazioni, di riducono le truppe, si ripongono le armi, rimodificando i reparti ospedalieri, riconvertendoli per la terza volta, di riorganizzano le strutture nei reparti. I medici e gli infermieri che si sono riconvertiti sulla frontiera del Covid 19 e che ancora combattono su quella linea (basta penare ai dentisti che stanno vaccinando…) tornano alle loro competenze. 

Lasciamo a un altro ragionamento la medicina territoriale che dovrà essere rifondata e auguriamo che ci siano gli esperti capaci di farlo dalle fondamenta. E pensiamo agli ospedali che qui a Genova sono come in un risiko, grande frullatore oramai da tempo immemorabile, da ben prima della pandemia.

Il Galliera bis, che finalmente ha preso la sua strada anche grazie al nostro vescovo-frate sceso personalmente in campo, il San Martino che da decenni va ripensato con tutti quei padiglioni sparsi e scollegati e quella voragine all’ingresso finalmente sul punto di essere colmata, Villa Scassi che doveva diventare una residenza per anziani e nella tempesta è diventata un avamposto fondamentale, il Gaslini che doveva addirittura traslocare in Valpolcevera e invece resta lì, ma si modifica in modo sostanziale, tutto il Ponente genovese, la parte di città più popolata, in qualche modo abbandonato e senza un hub dotato di tutte le funzionalità necessarie…...Per non parlare del resto della Liguria: la lumaca Felettino a La Spezia, l’ospedale-sogno in Valle Armea…

Mentre sul sistema sanitaria si sta per abbattere come una seconda e ben più silenziosa tempesta, quella delle malattie e delle diagnosi trascurate durante la pandemia, che cosa si fa per il futuro immediato e per quello di domani e dopodomani?


I reparti di terapie d’urgenza e quelli intensivi che sono stati l’incubo di questi mesi per il tasso di occupazione, come saranno programmati dopo avere rischiato in tutto il Paese di finire Ko, salvati solo dall’immane sacrificio di medici, infermieri e Os in una pagina che diventerà leggendaria nella storia della medicina?

La notizia che la Regione ha impostato una struttura di missione per affiancare l’assessorato alla Sanità e ci ha messo a capo una figura come quella di Pino Profiti va considerata un primo passo nella direzione di una riorganizzazione. Al di là della qualità professionale del personaggio, già amministratore del Bambin Gesù, amministratore del Galliera e del Gaslini, dirigente regionale e docente universitario, Profiti è la prova che si programma una svolta.

Ma bisogna farlo subito e non considerarlo una sovrastruttura che aggrava gli impegni finanziari della Regione, come fa un po’ pedissequamente una parte dell’opposizione. E, di grazia; dove è importante oggi investire dopo l’incubo dal quale speriamo di essere usciti?

Incrociamo le dita, cerchiamo gli amuleti ma programmiamo il futuro della sanità pubblica e privata. Subito.