"La situazione è di stallo per quanto riguardo il Remdesivir. Il Coronavirus è un'infezione globale e riguarda ormai tanti stati, essendo un farmaco americano loro hanno deciso di tenerselo. Noi abbiamo avuto tutte le autorizzazioni possibili dall'Aifa e dagli altri organi preposti ma purtroppo la sperimentazione è ferma perchè il farmaco non arriva" il direttore della clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova Matteo Bassetti fa il punto sulla situazione del farmaco Remdesivir. La Liguria e l'infettivologo del San Martino avevano spinto a lungo per avere il farmaco, e soprattutto a inizio emergenza aveva dato risultati positivi con il primo paziente guarito proprio grazie a quel specifico antivirale. Poi l'utilizzo si è bloccato per questioni burocratiche, una volta superata l'enpasse anche gli Usa si sono resi di conto di essere nel bel mezzo della pandemia con i casi di soggetti positivi che si sono moltiplicati ora dopo ora e così il farmaco pur potendo essere utilizzato è diventato introvabile per i medici che vorrebbero usarlo sui pazienti positivi al covid e ricoverati.
Ma sull'utilità del farmaco vanno avanti le analisi e aumentano le speranze sulla efficacia del Remdesivir nel trattamento di malati gravi affetti da Covid-19 ma i dati emersi da una sperimentazioni il condotta negli USA e in Europa su 53 pazienti gravi sono considerati ancora insufficienti per trarre conclusioni certe. I malati, tutti in condizioni serie, hanno ricevuto il farmaco solo in base alle misure straordinarie per uso compassionevole dei medicinali. Si tratta di un antivirale studiato per l'Ebola che è stato tra i primi a essere testati contro il Coronavirus.
Tutti i 53 pazienti analizzati hanno ricevuto Remdevisir per circa 10 giorni. Dopo 18 giorni dall’inizio del trattamento il 68% di loro (ovvero 36) hanno evidenziato miglioramenti importanti. Trenta pazienti erano attaccati ai respiratori artificiali, di questi ben 17 sono migliorati e hanno potuto continuare la loro cura senza l'aiuto dei respiratori. Circa la metà dei 53 pazienti sono stati dimessi dagli ospedali mentre il 13% sono morti. La più alta percentuale di decessi è avvenuta tra chi era già costretto a restare attaccato al respiratore.
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