cronaca

L’ex calciatore del Cagliari ora vigile del fuoco è uscito da solo dall’auto tra le macerie
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“Davanti a me tutto il pezzo di strada andava giù e le macchine sparivano nel vuoto come se fossero dei fogli lanciati per aria, ho cercato di frenare ma ho iniziato a precipitare e ho pensato e gridato che stavo morendo poi mi sono ritrovato con la macchina in un’intercapedine”. Davide Capello è scampato per miracolo al crollo di Ponte Morandi dopo un volo di circa 80 metri , un anno dopo, racconta così quegli istanti che da allora non lo abbandonano mai. Davide ha 35 anni è di Nuoro, ex giocatore del Cagliari, vive a Savona dove fa il vigile del fuoco e alle 11.36 del 14 agosto 2018 era su Ponte Morandi direzione Genova.


“Viste le condizioni meteo che stavano migliorando ho deciso di andare a Genova a fare la tessera del tifoso perché da lì a una settimana sarebbe iniziato il campionato di calcio di serie A – racconta - mi ricordo che esco dalla galleria che precedeva il ponte e quando sono arrivato più o meno all'altezza del pilone numero 9 ho sentito attorno a me un rumore sordo come di qualcosa che si stava spezzando. Ho iniziato a vedere dei detriti e della polvere cadere dall'alto, davanti a me tutto il pezzo di strada andava giù e le macchine sparivano nel vuoto come se fossero dei fogli lanciati per aria. Il primo istinto è stato quello di frenare, di provare a non cadere giù, avevo la speranza di fermarmi sul ciglio della strada e salvarmi poi, a un certo punto, anche la terra sotto di me ha iniziato a mancare e mi sono ritrovato a precipitare nel vuoto. Mentre precipitava ho lasciato il volante, mi sono messo le mani dietro la schiena e ho pensato e gridato che stavo morendo poi, dopo qualche secondo, mi sono ritrovato con la macchina giù per terra all'interno di un’ intercapedine del tratto stradale che mi precedeva che ribaltandosi era finito in giù e io sono entrato dentro e mi sono ritrovato in una posizione obliqua”.

Un miracolo, destino o solo fortuna. Davide è riuscito ad uscire da solo dall’auto incastrata tra le macerie e anche lui ancora non riesce a spiegarsi come sia stato possibile. “Vedevo solo polvere e tutti gli airbag esplosi nell'auto, dopo qualche istante di shock ho iniziato a provare a capire dove fossi finito e avevo paura a muovermi all'interno dell’auto perché pensavo di precipitare ancora più giù, non sapevo se l’auto era in una posizione stabile quindi avevo il terrore di muovermi. Dopo un po' la polvere è calata e ho visto che davanti a me c’era del cemento, ho sollevato la cintura e ho iniziato a cercare il mio cellulare per chiamare aiuto, ma non lo trovavo poi mi sono reso conto che la radio ancora era accesa e quindi il telefono era collegato via Bluetooth al touchscreen dell’auto: ho digitato nella tastiera della macchina il numero del 112 ma non sono riuscito a prendere la linea in prima istanza quindi ho chiamato subito il numero interno del comando di Savona dei vigili del fuoco dove lavoro e ho detto quello che era successo, subito dopo ho chiamato la mia fidanzata e mio padre e li ho avvisati che stavo bene”.

Davide è un ragazzo alto con il fisico asciutto dello sportivo, ha due occhi di un marrone profondo che non si dimenticano soprattutto quando la voce racconta il momento del crollo e gli occhi sembrano persi nel vuoto ma in realtà sono ancora una volta su quel viadotto che cade sul Polcevera. Mentre racconta quel 14 agosto la sua voce è calma ma a tratti l’emozione vorrebbe uscire e gridare tutta la sua rabbia e incredulità, chissà forse la sua formazione l’aiuta così come l’ha aiutato a gestire i minuti successivi alla tragedia. Gli occhi e la testa si abbassano solo quando pensa alle vittime perché nella vita di Davide c'è un giorno e un momento peggiore del crollo del ponte ed è quello dei funerali: “pensare al dolore di tutti i parenti delle vittime è stato straziante, impossibile da descrivere".


A seguito del crollo Davide ha riportato poche ferite fisiche, più profonde quelle a cuore e mente. “E’ stato un anno molto difficile rielaborare tutto e provare a ritornare a una vita normale. La vita come prima del 14 agosto probabilmente non ritornerà più. I primi mesi sono stati i più difficili per il senso di colpa di essere ancora in vita, per i dolori fisici e le cure, per i ricordi di quella giornata, per la difficoltà di riprendersi la normalità. La cosa difficile è provare a ricucire le ferite interiori. Il pensiero di quella giornata è presente sempre tutti i giorni, la notte prima di addormentarmi, durante la notte con incubi e mancanza di sonno. Piano piano il fatto di poter ritornare al lavoro, di poter riprendere con lo sport mi ha aiutato e aiuta”.

“Essermi salvato mi fa vedere la vita in una prospettiva diversa: se devo prendere delle cose positive da quel 14 agosto ora ho un'altra consapevolezza della vita, apprezzi di più ogni singolo giorno e dai importanza a cose che prima magari davi per scontato invece ti rendi conto di quanto sia volatile la vita: vai a fare una commissione e magari non torni più a casa. Sono tutti insegnamenti che ti fanno capire veramente quanto sei fortunato a vivere”.