Dal nero del petrolio al nero della burocrazia. Sono passati due anni precisi dal disastro ambientale di Fegino, una falla nell'oleodotto Iplom che riversò 680 metri cubi di petrolio nel rio Pianego e quindi nel Polcevera fino al mare. Da allora - era il 17 aprile 2016 - passi avanti non ce ne sono stati: la bonifica non è mai partita e i cittadini non hanno alcuna garanzia che un incidente così non si ripeta più. Il succo è tutto nel tecnicismo su cui si arrocca l'azienda petrolifera che a Fegino ha i suoi ingombranti depositi: Iplom ritiene che l'intervento sull'alveo competa al Ministero dell'ambiente e non al Comune, che segue invece i lavori sui versanti. Roma si era espressa diversamente e l'azienda aveva deciso comunque di collaborare. Ma in piedi c'è ancora un ricorso al Tar: il Comune ha chiesto (invano) di ritirarlo, enel frattempo è tutto fermo.
Di recente il M5s ha presentato un'interrogazione in consiglio comunale all'assessore all'ambiente Matteo Campora. Risposta: è stata mandata una richiesta informazioni al ministero. Roma non ha ancora riferito e a Tursi deve essere ancora convocata una commissione al riguardo.
Ad oggi restano i 1356,27 euro all’anno di concessione chiesti dalla Città metropolitana per far passare l'oleodotto (un'inezia) e una direttiva europea detta 'Seveso' che imporrebbe controlli molto più rigidi, interpretata in senso restrittivo.
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