politica

Il commento
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Domenico Luca Marco Minniti è un “vecchio compagno” nato in Calabria nel 1956, poco prima che le truppe del Patto di Varsavia entrassero a soffocare la rivolta di Budapest e poco dopo la denuncia dei crimini dello stalinismo fatta da Krushov nel memorabile XX Congresso del Pcus (Luciano Canfora "1956, l'anno spartiacque", Sellerio). Il lividuccio D’Alema non può far finta di non conoscerlo perché il ministro calabrese, figlio di un generale dell’Aeronautica, è stato il suo giovane sottosegretario alla presidenza quando lo stesso fu premier dal 22 ottobre 1998 al 25 aprile del 2000 e già viceministro degli Interni nel 1996 con il governo di Romano Prodi. Il pedigree è agli atti.

Insomma, “a former old communist” , un vecchio ex comunista, come scrivono i quotidiani inglesi e la BBC che insieme al Frankfurter Algemeine ne tessono le lodi. Cioè carta di identità molto precisa e dati anagrafici netti e inconfutabili.
Minniti ministro “ripescato" dall'astuto diesel della politica Paolo Gentiloni è oggi il politico più richiesto dai talk tv, più “corteggiato”come ha confessato la maga dei talk politici ben fatti, Lilly Gruber, e si racconta che con Milena Gabanelli siano il tandem politico più glamour dell’estate, i cattivissimi che, scrive Il Foglio “hanno ucciso la sinistra”.

Altro che Renzino da Pontassieve, commesso viaggiatore del suo libro nei resti un po' fané delle Feste dell’Unità. Altro che Salvini coi braccioli incorporati ai bicipiti, mai stato così tanto sugli arenili italici come in questi mesi.
Bene. Il problema per alcuni del Pd è che questo Minniti , "lo sbirro" secondo il linguaggio così corretto del dottor Gino Strada, sale rapidamente nei sondaggi di gradimento e la sua ricetta sui migranti che sta dando risultati (sembra) è apprezzata oltre che dalle cancellerie europee anche tra i Cinquestelle e i Leghisti. Piace il Minniti anche al popolo. Popolo, cioè gente qualunque, normale, con i normali problemi degli italiani. Sale il consenso e cresce la voglia di metterlo in lizza magari antagonista di Renzi o di Delrio per la guida del centrosinistra alle prossime elezioni politiche.

A Genova il referente del ministro Minniti non va cercato: c’é. Non ha rivali, anzi ne ha tantissimi perché anche lui, con la sua politica ante litteram sulla sicurezza nel centro storico e sul controllo serio dell’immigrazione ha sconvolto il Pd/exPci. Simone Regazzoni, docente di estetica, renziano oltranzista oggi, molto meno renziano di quando era il ghost writer di Raffaella Paita, potrebbe diventare il leader della corrente Minnitiana a Genova. Filosofo Regazzoni, laureato in filosofia anche il ministro. Vibrano i tendini del notabilato locale che si spegne con le focaccette clonate a Voltri.

Scrive Michela Bompani su La Repubblica.it di ieri che, domani, a Regazzoni verrebbe affidato un Dipartimento del Pd strategico e nuovo di zecca, che sembra fatto a posta per lui e per Minniti. Si chiamerà Dipartimento Sicurezza e Immigrazione, o qualcosa del genere, oggi che di sicurezza finalmente si può parlare anche nel Pd che sull’aver snobbato la sicurezza ha perso le elezioni e soprattutto il dialogo con la popolazione.

Il Regazzoni sdoganò il tema della sicurezza oltre un anno fa e fu coperto di improperi dai vecchi notabili del suo partito. Soprattutto quando si scagliò contro il mercatino illegale di corso Quadrio. La “sinistra al fondant e all’incenso” di Castelletto lo liquidò con “è di destra”. Il Pd così ben sistemato fu distrutto alle regionali, a Savona, a Genova e a La Spezia. Persino un intellettuale genuinamente di sinistra, ma serio, come il professor Mauro Barberis, docente di Teoria del diritto a Trieste, sulla sicurezza senza tabù ha scritto un interessantissimo e polemico saggio edito dal Mulino che molti della “sinistra al fondant e incenso” farebbero bene a leggere prima di sparare sciocchezze nei salotti e nelle sagrestie chic.

Ma ora la questione a Genova diventa finemente politica. Con Minniti in forte e irresistibile ascesa, i congressi in fieri, gli argomenti di Regazzoni poco di sinistra secondo i notabili, ma molto popolari secondo la gente, darebbero una spinta interna sensibile al filosofo che avrebbe oltretutto la “benedizione” del signor ministro dell’Interno.

Il Dipartimento nuovo di zecca rischia di diventare un ganglio essenziale per la rinascita del Pd nella versione 4.0, cioè un partito che si accorge finalmente che il mondo che c’era nel 1956 non c’è più. E che se non tocchi la pelle dei bisogni del popolo non sei di sinistra. O lo sei solo sulla carta.

C'e' un altro mondo, fatto di migranti disperati e perseguitati in patria da aiutare, ignobili sfruttatori da perseguire, cittadini ricchi solo di fragilità, città da rendere sicure in centro tra lo shopping e nelle periferie. Non un tabù per la sinistra come aveva provato a spiegare a Bologna, proprio alla sinistra, un leader vero come Sergio Cofferati. Ahimé senza successo. Eppure anche allora c'era lo smemorato D'Alema...