cronaca

Per la testata londinese otto banche rischierebbero il fallimento
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Se al referendum costituzionale vince il No ci sono "otto banche italiane che rischiano il fallimento". Non avendo di meglio da fare, o forse facendo perfettamente il proprio lobbistico mestiere, il Financial Times disegna uno scenario apocalittico per il futuro di un'Italia il cui premier, Matteo Renzi, uscisse scornato dalle urne.

Com'è ovvio, il presuntamente autorevole foglio della City londinese ha tutto il diritto di schierarsi con chi preferisce nella disputa fra il Sì è il No. Non si capisce, tuttavia, per quale motivo non faccia un motivato endorsement a favore delle tesi di Renzi e ricorra, invece, a una puttanata - mi si passi il francesismo - di tali proporzioni.

Viene il dubbio che il Financial sia stato mosso più dalla volontà di scrivere quelle cose, a tutto danno dell'intero Sistema Italia, che non dal desiderio di dare una mano alla battaglia elettorale del nostro primo ministro.

In questo gioco al massacro ci finisce di mezzo pure la genovese Banca Carige, alle prese con molti ancora irrisolti problemi dopo la disinvolta gestione dell'ex presidente Giovanni Berneschi (contro il quale di recente il Pm ha chiesto sei anni di carcere per le malefatte alla guida dell'istituto), ma di sicuro per niente sull'orlo del fallimento.

Nella foga anti-italiana che lo ha sempre contraddistinto, il Financial Times dimentica che Carige ha superato gli stress-test della Banca centrale europea (Bce), dopo una prima parziale rimandatura, che imponevano fra l'altro - detto in termini concreti - la creazione di provviste idonee a superare criticità fino al default.

A Londra magari la cosa viene ritenuta un dettaglio ininfluente, come nessuno si pone la questione se sia corretto o meno paragonare Carige a un caso come quello del Montepaschi Siena (piuttosto che delle altre sei banche citate: Popolare Vicenza, Veneto Banca, Banca Etruria, CariChieti, Banca delle Marche e Cariferrara).

Un esame onesto della situazione farebbe emergere tutte le evidenti differenze (cominciando dal fatto che Carige tutti i suoi aumenti di capitale se li è fatti grazie ai suoi azionisti, senza ricorrere ad alcun aiuto esterno), ma evidentemente lo scopo del Financial Times era fare di ogni erba un fascio, agitando lo spettro di una difficoltà sistemica (che nessuno nega) pronta alla deriva di un corto circuito con danni irreparabili, per il Paese e quindi l'Ue è il resto del mondo, se domenica prossima dovesse spuntarla il No.

Per carità, magari la speculazione sta già affilando le armi e lo scontro referendario in corso può certamente mettere l'Italia nel mirino delle manovre più ardite, al limite del politicamente criminale. Ma se si sostengono pubblicamente certe tesi, ci si può chiamare fuori da questo gioco speculativo? Già con le cose affermate il Financial Times può aver arrecato un danno a Carige, considerando l'ovvia ipersensibilità suscitata negli azionisti e nei risparmiatori da altre vicende del sistema bancario italiano ed europeo, per quanto non assimilabili alle vicende della banca genovese.

Peraltro, bisogna rilevare che certe affermazioni para-giornalistiche ultimamente non è che abbiano propriamente colto nel segno. Si diceva che se avesse vinto la Brexit sarebbe stata una sciagura per l'Ue e anche per la Gran Bretagna. La Brexit ha vinto e non si sono visti macelli da nessuna parte. E allo stesso modo, non pare che il successo di Donald Trump negli Stati Uniti stia provocando i dissesti evocati alla vigilia. Se non correttezza, queste due vicende dovrebbero imporre almeno maggiore prudenza nel vaticinare il day after del referendum costituzionale italiano. Probabilmente, è che, come si dice per le stagioni, non ci sono più i british di una volta.