cronaca

Da 14 anni a capo dell’ufficio famiglia e parroco di Montoggio
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Una valigia rettangolare grande, di quelle di una volta, nel corridoio di casa, una di quelle valigie che riportano la mente ai viaggi dei nostri emigranti, “me l’ha portata don Giandomenico”, sorride mons. Pietro Pigollo per tutti don Piero, lui il 15 ottobre con quella valigia partirà per Cuba, almeno tre anni di missione.

Don Piero, da 25 anni sacerdote, da 14 direttore dell’ufficio famiglia della diocesi di Genova e ora parroco di Montoggio, è in partenza per la missione diocesana che da 11 anni c’è sull’isola. Per qualche settimana passaggio di consegne con don Fully Doragrossa, lì da quattro anni, e poi via all’avventura.

La “sua” Cuba, quella che troverà tra qualche giorno sarà diversa, molto diversa da quella che trovò don Marino Poggi che fece suonare le campane in una chiesa 50 anni dopo e preparò al visita di San Giovanni Paolo II nel 1998, ma anche da quella di don Fully, nel mezzo la visita di tre pontefici, la fine dell’embargo con gli USA, la visita del presidente americano Obama e persino il concerto dei Rolling Stones.

Lo sa don Piero che mi racconta con il suo solito garbo la sua emozione dal terrazzino di casa, sui tetti del centro storico, che si affaccia sulla cattedrale di San Lorenzo. “Mi aspetto una Cuba, in cammino, in evoluzione in crescendo dal punto di vista commerciale ma anche umano, e in movimento spirituale”. Negli occhi la visita sull’isola di un paio di anni fa “le celebrazioni gioiose e la gente accogliente, la gioia nei bambini che pur avendo pochi mezzi erano sempre allegri”.

Da 14 anni don Piero è a capo dell’ufficio famiglia della diocesi, e proprio alla famiglia Papa Francesco aveva dedicato l’ultimo discorso a Cuba definendola "una scuola di umanità, il luogo in cui si impara la fraternità, la solidarietà, il perdono, in casa siamo quello che siamo, senza maschere, e siamo invitati a cercare il meglio per gli altri".

L’importanza della famiglia è al centro del lavoro degli ultimi anni di don Piero “a Genova ci sono realtà nascoste di famiglie che vanno bene, ma quello che emerge è la mancanza lavoro, ma anche la mancanza di relazioni vere e profonde, relazioni personali e di fedeltà. Quello che il Papa ha detto a Cuba è la ricetta per ogni famiglia di ogni parte della terra perchè la famiglia è la palestra dell’amore, dove crescere ed educare i figli; nell’occidente purtroppo non è più uno sport collettivo ma quasi individuale e questo è deleterio. La fatica del nostro tempo è l’individualismo, la difficoltà a dialogare”.

E allora quali consigli si possono dare? Don Piero continua usando metafore sportive: “C’è da trovare allenatori validi che ci affianchino e ci consiglino perché piano piano si possono fare cose insperate”.

Con pacatezza e immancabile sorriso descrive la missione che l’aspetta: “la diocesi è quella di Santa Clara nel centro di Cuba. Saremo tre sacerdoti liguri ognuno avrà una parrocchia, la mia sarà quella di Esperanza circa 16 mila abitanti, questa è la realtà che penso con un po' di dispiacere don Fully si appresta a lasciare.

Si dice che Cuba rapisca e imprigioni, che conquisti per semplicità e genuità della fede, e guardando don Piero penso che lui così timido e amabile lì si troverà bene. “A Cuba c’è crisi del lavoro che viviamo anche noi qui, c’è anche però la capacità di arrangiarsi”.

Don Piero lavora da anni con i giovani fidanzati e ricorda quanto per loro oggi sia complesso costruire una famiglia “la difficoltà lavorativa è un grosso ostacolo anche nei rapporti di coppia, c’è chi trova lavoro in città diverse, per esempio, ed è difficile mantenere i rapporti anche se ci sono i social. Bisogna essere ben fondati e radicati su relazioni vere e profonde e serie e come per lo sport ci vuole un esercizio costante e una grande volontà oltre alla grazia di Dio che ci aiuta.
Cosa porterà nella valigia tra poche ore? “L’amore di tanta gente che ha avuto pazienza con me e poi il pesto di Genova e le patate quarantine di Montoggio”. E Don Piero ora oltre a sorridere ride.