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Oggi il premier a Genova
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Caro presidente Renzi,

arrivando stasera a Genova vedrà dagli studi di Primocanale in cima al grattacielo disegnato da Piacentini una città splendida.
A nord le montagne (noi le chiamiamo proprio così, montagne, ma ci perdoni, siamo gente di mare) con i forti napoleonici e, aggrappate, alcune frazioni e quartieri. Pensi che lassù ci si arriva con le funicolari costruite all’inizio del ‘900. Poi  il centro storico: i Palazzi dei Rolli, San Lorenzo e il Gesù, il palazzo Ducale che macina successi culturali. Il torrione del nuovo Teatro Carlo Felice che i genovesi si sono ricostruiti quarant’anni dopo la distruzione delle bombe belliche e quello dello Stabile, la fucina del pensiero che ora compie 65 anni, portati benissimo. Vedrà la vasca di piazza De Ferrari, la piazza ribelle del 30 giugno contro il governo Tambroni, quella dei funerali di Guido Rossa, tutto intorno il reticolo dei carruggi, la città medioevale, salvata negli anni ’80 e oggi ancora piena di giovani e coraggiosi commercianti, mescolati a popoli provenienti da tutto il mondo. Il nostro porto. Grande, accogliente, le alte ammiraglie da crociera. Le gru, il Bigo di Renzo Piano. Lo sguardo incontrerà i cantieri, quella che era la Fiera del Mare, rubata all’acqua negli anni ’60 e laggiù l’incanto di Portofino.


Questa è Genova. Magari al sole e al vento che la pulisce e la rinfresca. Magnifica, superba, elegante e riservata. Solida e civile. Imprenditori che hanno fatto la sua storia industriale, ma anche buona parte di quella italiana, professionisti che tutti ci invidiano, nel diritto e nella medicina, uomini di scienza, scrittori e artisti, poeti come Montale e De André.


Magnifica e immobile. Già. Come mai, si chiederà anche lei come tanti, come mai una città così straordinariamente bella, è così ferma, paralizzata in una palude? Molte colpe sono nostre. Ma c’è una cosa di cui abbiamo una drammatica urgenza: essere ricollegati con il mondo. Non si allarmi. Con le Americhe e l’Asia, con l’Oriente e l’Africa i nostri imprenditori-mercanti lavorano tutti i giorni.
No. Noi vorremmo solo riuscire a arrivare a Milano in un’ora di treno, e a Roma in un tempo decente e non da Transiberiana. Basterebbe che ci facessero passare due volte al giorno dalla sua Firenze e non dalla dorsale tirrenica. Vorremmo viaggiare seduti, al caldo d’inverno e al fresco d’estate. Magari su carrozze con le toilette funzionanti.


Arriverà il mitico Terzo Valico, ma fra sette, otto anni. Nel frattempo i ragazzi di Genova continueranno a scappare oltre i Giovi, a cercare studi vivaci e lavoro stimolante che qui non esiste più. Perché mai dobbiamo accettare passivamente che i giovani  se ne vadano per non ritornare più? Come potremo cambiare la classe dirigente, lasciando a casa i Pensionati Eterni che occupano i posti-chiave?
Io appartengo , ahimé,  a questa ultima categoria, agée e  mugugnona, che nella città non molla
. Mugugno, ma  sarei felice di vedere facce nuove, idee, progetti, provocazioni, voglia di fare e di cambiare, iniziativa e passione.


Noi a Primocanale ogni anno ci rinnoviamo e ogni anno a settembre sperimentiamo qualche cosa di nuovo e rischioso, da soli, mi creda, assolutamente da soli. Siamo alla vigilia della celebrazione dei nostri 35 anni! Intorno in città vedo amaramente la rassegnazione. Imprenditori che allargano le braccia, commercianti che tirano giù la saracinesca.
Per fortuna che là, su quella collinetta della Valpolcevera, ci sono quei matti dell’Iit. Poi scopro che decine di giovani laureati con le loro start up conquistano contratti oltre Oceano. Evviva.
Già. Ma vorrei farli tornare a cambiare la nostra città.


Dunque, caro presidente, ci ricolleghi con l’Italia. In fondo basta qualche chilometro di binari e noi siamo pronti a ripartire un’altra volta.