"Ho solo bisogno di capire chi fa davvero opposizione a Renzi". Queste parole il leader della Lega Matteo Salvini le pronuncia poche ore prima che Giorgia Meloni sciolga la riserva e annunci di candidarsi a sindaco di Roma. Sostenuta dal suo partito, Fratelli d'Italia, e appunto dal Carroccio. In quell'affermazione ci sta tutto il non detto della vicenda che spacca il centrodestra e vede Silvio Berlusconi per la prima volta come antagonista di una parte del suo stesso schieramento, visto che lui va avanti sulla designazione di Guido Bertolaso.
Perché Salvini vuol sapere chi fa opposizione a Renzi? Da giorni circola l'ipotesi, pesantemente sostenuta dal sito Dagospia di Roberto D'Agostino, di un sodalizio sotterraneo fra il premier e l'ex Cavaliere, riedizione del cosiddetto Patto del Nazareno. Il presupposto sarebbe una complessa operazione economico-finanziaria, riassumibile così: in cambio di una sostanziale non belligeranza alle comunali di Milano e Roma, Renzi darebbe via libera al tycoon Vincent Bollorè per mettere prima le mani su Telecom e poi, cosa che sta particolarmente a cuore a Berlusconi, per acquisire Mediaset Premium e, più in là, anche l'intera Mediaset.
Tutto ciò, ovviamente, non piace a Salvini (e neppure alla Meloni), per le implicazioni politiche: il rafforzamento del governo e l'indebolimento del centrodestra a trazione leghista. Da qui la decisione di rompere l'accordo su Bertolaso, sparigliare il gioco e vedere l'effetto che fa.
La mossa, va detto con chiarezza, è azzardata. Intanto pone un problema interno, perché il governatore lombardo e altro uomo forte della Lega, Roberto Maroni, resta fedele all'intesa e gela Salvini: "A Roma la scelta del candidato toccava a Forza Italia e se si vuole combattere la battaglia per la leadership del centrodestra si fanno proposte e programmi, non cose così". Non casualmente il segretario del Carroccio, nello spiegare l'appoggio a Meloni, precisa: "Chi pensa che io stia guardando a quanto accadrà fra due anni (le politiche del 2018 ndr) mi sopravvaluta". E poi la frase ricordata all'inizio: "Ho solo bisogno di sapere chi fa davvero opposizione a Renzi".
Improbabile, tuttavia, che su Roma si inneschi una resa dei conti interna alla Lega. Così com'è improbabile che la spaccatura del centrodestra mandi in soffitta il "modello Toti" felicemente sperimentato alle regionali liguri dello scorso anno. L'unità della coalizione resta la "conditio sine qua non" che può consentire a quello che fu il PdL di contrastare con successo l'attuale strapotere del Pd renziano.
L'operazione unificatrice che ha consentito al presidente della Regione Liguria Giovanni Toti di far saltare il banco di una consultazione il cui esito sembrava scritto, infatti, ha avuto nello stesso Salvini un protagonista fondamentale (anche per il carico di voti portati alla causa) e non viene in alcun modo sconfessata. Dice il leader leghista: "Grazie all'unità del centrodestra stiamo ben governando Veneto, Lombardia e Liguria. A Roma puntiamo di andare al ballottaggio con Giorgia Meloni e vuol dire che si potrà tornare uniti al secondo turno".
In prima battuta, però, Salvini starà da una parte e Toti dall'altra, visto che il governatore ligure dovrà difendere la scelta di Bertolaso. Il passaggio sarà comunque delicato, perché certi strappi possono lasciare scorie politicamente molto più tossiche di quanto si immagini in partenza (vedi primarie Pd a ogni latitudine). Alla fine, insomma, più che l'origine del caso Roma potrebbe essere la gestione del primo turno elettorale con vista sul Campidoglio a mettere in crisi il "modello Toti". Soprattutto se Berlusconi si dovesse convincere che il suo consigliere politico ormai sta giocando una partita tutta sua in vista della successione. E il governatore ligure, a Roma come a Milano, ha molti "amici" pronti a bisbigliare nelle orecchie di Sua Emittenza.
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Centrodestra diviso a Roma, il "modello Toti" in pericolo
Ma l'unità della coalizione resta la sola carta vincente
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