politica

L'invettiva
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Siamo una città-porto o siamo una porto-città? Non siamo impazziti, né vogliamo giocare con le parole. Ma l'ultima questione, quella del cosidetto Blue Print, il disegno di Renzo Piano per collegare la cadaverica Fiera del Mare al Porto Antico 1992, con canali d'acqua, riempimenti e abbattimenti, fa parte di questo infinito interrogativo che segna la storia di Genova moderna e divide, come si potevano dividere i Fieschi dai Doria, i Guelfi dai Ghibellini e oggi i renziani dai non renziani.

Incomincia, questa storia, da quando Genova ha deciso di cedere i suoi spazi al porto, alle banchine, alle industrie navali e non e continua, viceversa, quando ha incominciato a riprendersi questi spazi. Mai in altra città del mondo, neppure in quelle che deviano i fiumi per favorire i moli e le banchine, è successo quello che accadde qua, tra il 1930 e la fine degli anni Cinquanta- Sessanta, quando il mare fu tombato a Ponente, per costruirci la prima acciaieria a ciclo integrale d'Europa, cancellando le spiaggie e la costa e le onde del mare stesso, da Cornigliano in là, poi l'aeroporto, poi il Porto Petroli, poi il porto di Voltri e, dall'altra parte, la Fiera del Mare.

Insomma a una parte della città hanno rubato il mare per sempre e la città produttiva, portuale, industriale, se lo è divorato, in cambio di fabbriche, moli, autonomie funzionali, salari e stipendi per generazioni e generazioni di lavoratori.

Valeva la pena?
Il problema dei confini della città rispetto al suo millenario porto, origine di tutte le sue fortune, si continua a riproporre e questa ultima storia del Blue Print, come quella ben più vasta e scandalosa, per l'abbandono in cui fu lasciata, del Water Front, otto anni fa, ce la ricorda ancora con una certa violenza, perchè si è già impastoiata in divisioni, risse, minacce, ricorsi giudiziari, secondo la perfetta tradizione genovese degli ultimi anni: progettare, disegnare, esaltarsi, incominciare a discutere e non fare nulla.

Il Water front è finito nelle bacheche del Museo del Mare. Dove finirà il Blue Print? Appeso al Museo di Villa Croce dell'arte moderna?
Intanto la città e il porto insieme non sanno programmare i propri confini, malgrado le fatiche di amministratori, presidenti, architetti, urbanisti.

Consolatevi: la storia dura dal 1903, fondazione del Cap, Consorzio Autonomo del Porto ed è destinata a continuare. Ha avuto solo saltuari e decisivi momenti di accordo, come quando venne concessa l'autonomia funzionale ai moli Italsider, negli anni Cinquanta, come quando si decise l'operazione san Benigno negli anni Settanta-Ottanta, come quando Colombo e i miliardi pubblici ci portarono il Porto Antico. Demanio marittimo e comunale: un colpo di fulmine!!! Come due fidanzatini di Peynet.

Ora litighiamo per 3 chilometri e cinque di canali, il porticciolo Duca degli Abruzzi tombato, le riparazioni navali in espansione, il palazzo Nira polverizzato, la Fiera del Mare trasformata in area residenzial-commerciale-ludica. Non la finiremo mai, fino a quando non arriverà la sentenza definitiva: città-porto o porto-città? Altro che sindaci e presidenti, qui ci vuole un Doge!