Chi investe per fare i tombamenti. Quanto costeranno le concessioni e per quanto tempo saranno assegnate. Come viene assegnata l’area. Con quale metodologia. Oppure è già stata assegnata ancora prima del tombamento. Esiste o no un business plan. E i tempi, perché nessuno fornisce un cronoprogramma dell’opera.
Superata l’euforia della presentazione, aumentano ogni giorno che passa le domande in cerca di risposta su come sarà messo in pratica il Blue Print di Renzo Piano. Soprattutto da quando la cosiddetta ‘macchina del fango’ agisce nei confronti di soggetti come Yacht Club Italiano, Lega Navale, Canottieri Elpis e Rowing Club. Il loro peccato? Fare ricorso al Tar per sostenere il diritto di esistere là dove sono.
C’è qualcuno che vuole far passare la loro azione come la mossa di signorotti benestanti che non vogliono spostare lo yacht da quelle banchine verso altre direzioni. E che caparbiamente vorrebbero bloccare lo sviluppo di un’intera città. Ma la realtà è ben diversa dall'apparenza, sono altri che cercano lo status quo puntando a quello spazio oggi occupato da canoe e dinghy. Ogni riferimento alle Riparazioni navali è ovviamente voluto.
Quelli che hanno fatto ricorso al Tar hanno diritto al rinnovo, come hanno diritto in alternativa di sapere con certezza dove saranno spostate le rispettive sedi. Soprattutto hanno diritto alla verifica degli stanziamenti e alla verifica dei lavori nella zona che verrà loro assegnata. E hanno diritto a garanzie concrete. La resa di fronte al Blue Print oggi per loro equivale alla firma di una cambiale in bianco con l’amministrazione comunale, peraltro in scadenza. Alla domanda sui tempi e sulle modalità di spostamento infatti la risposta più gettonata è: quien sabes.
La sconfitta dello Yacht Club e dei suoi vicini rappresenterebbe un passo indietro per la filosofia ludico-turistica alla base del Blue Print. Se lo scopo è quello di restituire alla città, ai suoi abitanti, ai turisti la possibilità di passeggiare a piedi e in bicicletta dai padiglioni della Fiera fino al Porto Antico, ma allora che c’entra la permanenza delle Riparazioni navali e l’allontanamento di chi pratica sport acquatici. Operai al lavoro per smantellare o riparare navi non sono certo un’attrazione turistica, anche se qualcuno ha cercato questa interpretazione.
La permanenza delle Riparazioni navali all’interno del progetto Blue Print porta a una cementificazione dello specchio d'acqua oggi utilizzato dai ricorrenti al Tar. E qui si torna alle domande di partenza, dal tombamento alle concessioni. A cui si aggiungono i dubbi su quanti (nuovi) posti di lavoro porterà e quali saranno i canoni visto che sarà un investimento dell’Autorità portuale di Genova. Se qualcuno ha un business plan a portata di mano, non esiti a tirarlo fuori.
Le società sportive hanno il sacrosanto diritto di avere garanzie concrete sull’eventuale nuova destinazione. Le riparazioni hanno il sacrosanto diritto di essere ancora un fiore all'occhiello del lavoro genovese, ma non nel cuore della città antica a cinquanta metri dalle case. Gli abitanti della zona hanno il sacrosanto diritto di chiedere che non ci sia inquinamento acustico né ambientale. I contribuenti e la città di Genova hanno il sacrosanto diritto di avere una risposta alle tante domande che giorno dopo giorno si fanno più scintillanti. Lontani dall’idea di un ‘No’ a priori, ma lontanissimi da un ‘Si’ a occhi chiusi.
cronaca
Il Blue Print e quelle (troppe) domande ancora senza risposta
L'editoriale
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