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La presentazione del libro dell'ex premier
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Dice un proverbio africano: "Se vuoi andare veloce, vai da solo. Se vuoi andare da solo, devi farlo insieme". Questo lo strillo di copertina, ma anche il senso del nuovo libro di Enrico Letta, Andare insieme, andare lontano, edito da Mondadori e presentato a Palazzo San Giorgio.

Intervistato da Luigi Leone, direttore di Primocanale, e da Alessandro Cassinis, direttore del "Secolo XIX", l'ex premier ha parlato a ruota libera, dalle regionali a Renzi, dall'Europa all'economia, fino alla recente legge elettorale. "Uno scempio che sia stata votata a colpi di fiducia".

"Quando ho letto questo libro - ha esordito Leone - mi è tornato alla mente il famoso tweet #Enricostaisereno. Qui in questo libro lo sembra davvero. Gli ha giovato il silenzio o è sereno davvero?"

"Ho voluto scrivere il libro con questo spirito. Questo è un libro che voleva parlare di futuro. Penso che anche il passato serva a parlare del futuro. Penso che sarebbe stato inutile se mi fossi infilato in personalismi e ripicche. Sono appassionato di politica. E poi l'ho fatto perché, come ho detto al Salone del Libro di Torino, mi sono rotto le scatole della politica fatta ad hashtag. Io a Torino ho lanciato l'hashtag: un libro è meglio di un hashtag. Nell'hashtag si gira intorno ai problemi senza affrontarli.

"Ho ritenuto fosse doveroso farlo per tempo, prima che accadessero eventi per cui fossero in tanti ad esprimere pareri di questo genere. Vedo che adesso con le regionali si cominciano a sentire certi pareri. Io ho provato a farlo prima. Non è facile ovviamente. Ognuno di noi è fatto di emozioni. Però sono stato educato che la politica non è l'io moltiplicato all'ennesima potenza. Un prete diocesano mi diceva sempre: noi è più importante dell'io. Me ne ricordo sempre.

Palla a Cassinis. "Lei dice: caratteristica del leaderismo è pensare di fare tutto da soli. La squadra è vissuta come un accessorio. Ma in Europa la prima impressione che si ha di questi leader è di una persona precaria, che potrebbe cadere il mese dopo. Le caratteristiche che il leader deve avere: meno solo ma che duri di più. Colpa del leaderismo se il Pd ha preso questa batosta elettorale qui da noi in Liguria?"

"Il dato ligure è complesso. Non do lezioni a nessuno. Sono rimasto sorpreso e colpito, lo confesso. Non ho elementi per analizzare. Quello che so per certo, come tutti noi, è che le reazioni del giorno dopo sono state pessime: pensare che sia tutta colpa di Pastorino è un errore marchiano. È fuorviante. La ricerca a tutti i costi del capro espiatorio per non dover affrontare la responsabilità. Un'altra grande lezione che ho imparato e che metterò a disposizione dei miei allievi nella scuola di politiche per ragazzi tra i 19 e i 25 anni che ho fondato a Roma. È una generazione che mi ha colpito positivamente, evitare la frustrazione della disoccupazione ed evitare fughe. L'idea di House of Card pieno di intrighi è un cattivo esempio. Tra l'altro, il protagonista, Kevin Spacey, gioca alla playstation.

"Una delle cose che mi ha sempre insegnato Andreatta, mio maestro, è che gli elettori hanno sempre ragione. Se hanno bocciato Toti, si riparte da qui. Punto. La vicenda ligure nel suo complesso? È un voto regionale, certamente. Ci racconta, però, che si è ragionato con strabismo per un anno al voto delle Europee. Un terreno in cui siamo abituati ad avere segnali dagli elettori, ma non sempre corrispondono alle regionali e alle politiche. Mi ricordo tante europee con esiti del genere. Ma, in particolare, la disattenzione è stata l'analisi sul voto di Grillo. L'errore di Grillo è stato dichiarare: vinceremo. Così il 22% è sembrata una sconfitta. Invece il Movimento 5 Stelle è radicato, questo voto dimostra che Grillo è vivo e vegeto. Renzi non l'ha sradicato, come sosteneva. È il terzo risultato di fila in tre anni tra il 22 e il 25 per cento, non è più un fenomeno effimero".

Letta dedica anche un lungo passaggio all'Europa. "Sapete quanto mi senta europeista. Le generazioni che hanno vissuto la nascita dell'Europa sapevano il vero motivo per cui dovevamo fare l'Europa: che tutte le guerre sono nate dentro i confini europei. Si è detto: mai più guerre tra di noi. Oggi quella percezione non si sente più. Oggi qual è il motivo? Su questo sono brutale: sembra quasi che noi facciamo l'Europa per inerzia. Invece il perché è nella prospettiva. Noi viviamo schiacciati nella logica del presente. Lo statista deve guardare al futuro. In vent'anni è cambiato completamente il mondo. Noi Stati Uniti ed Europa eravamo il 45 per cento dell'economia del mondo nel 1995. In quello stesso anno i paesi emergenti erano il 17 per cento. In vent'anni, l'anno prossimo i bric diventano il 33 per cento e noi dal 45 scendiamo al 32. Un sorpasso destinato a continuare. La tendenza sarà un mondo in cui l'innovazione tecnologica si aggancia a paesi che hanno taglie di 1 miliardo e mezzo, 1 miliardo, 500 milioni di persone. L'innovazione tecnologica ha modificato tutto. Il peso del potere del mondo si sta spostando verso l'Asia. Cosa vuol dire in termini concreti? Il punto è salvaguardare i valori europei: le regole sull'ambiente, sui diritti dei lavoratori, sul commercio, il tema dei rifugiati. Quello dei rifugiati è una cartina di tornasole per capire cosa sono i valori.

"La legge elettorale non la deve fare il governo ma le varie forze in parlamento a maggioranza. Da oggi in poi ogni maggioranza sentirà legittimo mettere un voto di fiducia sulla legge elettorale. Questo è uno scempio. Le due leggi elettorali che hanno funzionato, la prima del 1948 e quella di Mattarella (anno 1993), guarda caso sono state entrambe votate a maggioranza. Sono contro l'idea del Sindaco d'Italia, in cui si dà al primo ministro per cinque anni tutto il potere, sottraendolo al Presidente della Repubblica. Penso sia un errore. Sono d'accordo con questo sistema su un comune. Già a livello regionale non funziona, figuriamoci a livello nazionale. 

Su De Luca: "Bisogna essere intransigente con amici e nemici. Non si può avere una doppia morale". L'ex premier ha poi concluso. "E' cambiato il ruolo della politica. Se il tuo unico mestiere è la politica, la tua credibilità e il tuo grado di libertà si abbassa. Per questo motivo, dopo 13 anni di parlamento, ho scelto di tornare alla vita professionale. Penso che oggi dare il segnale di dire: ci vuole un mestiere, sia importante. Renderlo questa legge a norma di legge? No, perchè dev'essere una libera scelta. Anzi, la scelta che ho fatto è una scelta politica".