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Boeri, ci vuole equità tra generazioni
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La decisione sarà "collegiale" e a strettissimo giro. Tanto che potrebbe arrivare già lunedì quando è stato convocato un consiglio dei ministri che non ha però, al momento, all'ordine del giorno la 'mina-pensioni', innescata dalla sentenza della Corte Costituzionali. Cdm che con ogni probabilità sarà però almeno l'occasione per il governo per fare almeno un primo giro di tavolo sul decreto che i tecnici di Palazzo Chigi e del Tesoro stanno mettendo a punto. Vagliando una serie di soluzioni, tutte con l'obiettivo, ribadito anche oggi dal Tesoro, di rispettare il volere della Consulta senza sfasciare i conti pubblici, anche per non vanificare i primi segnali di ripresa registrati dall'Istat (Pil +0,3 nel primo trimestre).



Il target di spesa possibile ormai è stato identificato, tra i 3 e i 3,5 miliardi (netti), da reperire tra 'tesoretto' (1,6 miliardi di differenza tra deficit tendenziale e programmatico) e incasso dal rientro dei capitali, entrambe coperture che avranno comunque bisogno di una clausola di salvaguardia perché saranno verificate solo in sede di assestamento. All'interno di questo margine si sta ancora valutando una griglia di soluzioni, che guardano a limitare i rimborsi. E una delle ipotesi sul tavolo, spiegano ambienti di governo, è anche quella di restituire l'indicizzazione della pensione persa per effetto del blocco del Salva-Italia per uno solo dei due anni in cui lo stop è stato in vigore (l'indicizzazione bloccata era del 2,6% per il 2012 e del 1,9% per il 2013). In questo modo, è il ragionamento, si riduce l'impatto sui conti e si risponde a una delle indicazioni della Consulta, che ha giudicato eccessiva la durata del blocco per un biennio.
 

La Corte però ha puntato il dito anche contro la mancanza di progressività dell'intervento, quindi la scelta finale potrebbe essere quella di un mix di misure, con limiti di tempo ma anche per fasce decrescenti al crescere dell'assegno incassato. E una delle soluzioni che resta tra le più gettonate è quella di restituire l'indicizzazione piena solo fino a tre volte il minimo per tutti gli assegni che superano quella soglia. Soluzione che si traduce in un rimborso più alto per chi ha pensioni basse e più basso per chi invece ha un assegno alto (fissando magari comunque un tetto oltre una soglia ad esempio di 8 volte il minimo).
 

D'altronde la Consulta, è la posizione del governo, non dice che si debba 'ridare tutto a tutti', come peraltro ha sottolineato anche il viceministro dell'Economia Enrico Morando davanti alla commissione Bilancio del Senato: "L'interpretazione che circola per cui la sentenza della Corte comporterebbe un ritorno alla legislazione vigente prima" del Salva Italia "non è fondata", ha spiegato, aggiungendo che "temporaneità e progressività" sono "le due ragioni" che hanno portato alla bocciatura della norma. "Rimuoverle" porterà quindi ad ottemperare una sentenza che, se applicata in modo automatico, avrebbe invece un impatto ingente. Secondo le stime della relazione tecnica del Salva-Italia, riportate dallo stesso Morando in commissione, l'intervento, così come corretto dal Parlamento, ha portato risparmi di spesa, al netto delle tasse, per circa 3 miliardi a regime (1,8 il primo anno) ha inciso sul 54% del monte complessivo delle pensioni erogate, mentre l'intervento originario, che prevedeva di bloccare già oltre 2 volte il minimo avrebbe inciso sul 76% degli oltre 274 miliardi di pensioni erogate dall'Inps al 2012. Istituto di previdenza che, per voce del presidente Tito Boeri, si è detto pronto, quale che sia la scelta del governo, ma auspicando che, in virtù degli "importanti effetti redistributivi" che porterà con sé, "sia basata sull'equità non solo tra chi ha di più e chi ha di meno ma anche anche tra chi ha avuto di più e chi è chiamato a dare di più ma avrà di meno". Equità "non solo intragenerazionale con contributi più alti da redditi più alti, ma anche intergenerazionale. Non si possono chiedere prelievi ulteriori a chi è destinato ad avere prestazioni future più basse". Parole che a molti hanno ricordato l'idea, che circola da tempo, di mettere mano a un ricalcolo, almeno per gli assegni più alti, della differenza tra quanto viene percepito col metodo retributivo e quanto invece si percepirebbe con quello contributivo.