politica

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Citiamo strettamente in ordine cronologico: venerdì Matteo Renzi, il segretario del Pd, attacca la sinistra, come se il suo partito non ne facesse più parte; oggi Silvio Berlusconi, il leader di Forza Italia, attacca la sinistra, comprendendovi però anche il Pd. Se non fosse per quest’ultimo “dettaglio”, ci sarebbe di che rimanere sbigottiti. O da dare ragione a chi ritiene che il vero erede dell’ex Cavaliere sia l’attuale premier.

Ma se si esce dall’illusione ottica, le cose assumono un altro aspetto. E si spiegano. Renzi che bastona la “sinistra masochista” risponde a una doppia logica. La prima: aiuta la candidata governatore pidina Raffaella Paita contro le due formazioni (Rete a sinistra e l’Altra Liguria) che sono in campo più che a contenderle il successo, a eroderle voti che potrebbero risultare decisivi nella conta con Giovanni Toti, l’alfiere di Forza Italia e del centrodestra tutto (escluso Enrico Musso, andata per conto suo con Liguria Libera). Lo fa anche piazzandoci una magistrale dissuasione subliminale contro il voto disgiunto (tentazione che ancora sta nei timori dell’establishment dem) quando invita così a vergare la croce su Paita: “Non fatelo per Lella, fatelo per voi stessi”.

Ma è la seconda logica quella che ha il respiro nazionale e che anche per Renzi, non solo per i dissidenti-contestatori, fa della Liguria un laboratorio politico: su Cofferati, Pastorino e Civati mena fendenti da fabbro ferraio, tutto il contrario di ciò che ci aspetterebbe da un leader di partito desideroso di ricomporre ogni frattura. In realtà, Renzi spinge fuori loro e quanti la pensano come loro, offrendo la plastica dimostrazione di avere più a cuore, in realtà, la nascita di un soggetto politico a sinistra del Pd, che così qualifichi quello dem come un partito di sinistra riformista e moderato. Pronto ad accogliere a braccia aperte quegli italiani di mezzo che sono da sempre il più grande serbatoio elettorale dello Stivale. Difatti se la prende con gli strateghi del 25%, che “si accontentavano di avere più iscritti e meno voti. Il Pd del 40%, invece, vuole governare e cambiare il Paese”.

E’ una chiamata alle armi, quella di Renzi, rivolta soprattutto ai moderati, perché la tornata elettorale è maledettamente importante anche per lui: è diventato premier senza passare dalle urne, la prima prova – alle europee – è stato un successone, ora ha bisogno della conferma e Dio non voglia che si perda una regione da dieci anni in mano al partito.

Partito da imprenditore, Berlusconi le ossa da politico ormai se l’è fatte. Fiuta l’aria, sente puzza di zolfo e allora ribatte a tono. Altro che “Matteo è un simpaticone”.

Qualunque cosa sia avvenuta da quando ha dovuto lasciare Palazzo Chigi, per l’ex Cavaliere è colpa “della sinistra e del Pd”. C’è tutto il male possibile, per Silvio, in quanto è toccato all’Italia e naturalmente anche alla Liguria. Che pure per lui è un formidabile laboratorio: qui, infatti, il suo messaggero Giovanni Toti un primo miracolo l’ha realizzato, riunificando il centrodestra.

Se il risultato delle urne sarà confortato dal successo, o da una prestazione comunque degna di nota, davvero quel che è successo qui può ripetersi su scala nazionale. Si tratta di trovare lo strumento giusto. La prima idea era quella di un Partito Repubblicano all’americana, ma viste le immediate reazioni negative di Lega e Fratelli d’Italia, l’ex Cavaliere ha già virato su “uno snello contenitore federativo”. Gli anni passano, ma i riflessi di Berlusconi rimangono lesti quando si tratta di aggiustare il tiro, avendo ben chiaro il bersaglio. E il primo obiettivo è fin troppo evidente: impedire che Renzi si prenda quelle migliaia e migliaia di elettori moderati che hanno costituito la base del berlusconismo. Forse non sapremo mai che cosa davvero prevedesse il Patto del Nazareno e se la rottura fra Berlusconi e Renzi sia dipesa solo dalla decisione su chi mandare al Quirinale. Di sicuro, ormai è carta straccia.