Da ormai qualche mese Genova accoglie con grande soddisfazione i dati di traffico del porto. Gli ultimi, quelli di marzo, hanno fatto registrare un aumento dell’8,1% nei container movimentati (rispetto ai primi tre mesi del 2014) e del +4,6% nelle merci varie. Un trend positivo, spiegano gli esperti, dovuto innanzitutto a un’economia in lieve ripresa, con una crescita in particolare dell’export, e a una serie di iniziative per velocizzare e semplificare i traffici nei nostri scali (primo fra tutti il pre-clearing, avviato ormai un anno fa ed esteso alla quasi totalità delle merci in arrivo nel giro di pochi mesi). E’ la dimostrazione che un porto più intelligente è più efficiente e di conseguenza più attrattivo per le merci. Una buona notizia, almeno per il momento.
Per il momento, già, e questo per una semplice constatazione: se le merci arrivano sulle banchine e lasciano il porto più velocemente, è anche vero che si riversano altrettanto più velocemente su binari (ancora troppo poco) e sulle autostrade. Binari e autostrade, quelli liguri, che contrariamente ai dati di traffico restano impietosamente al palo. Sempre più vecchie, sempre più fragili, le vie di comunicazione della Liguria non corrono quanto il mercato, e ancora meno quanto corrono quelle degli altri Paesi europei. Basta la frana di un terrazzo abusivo per tagliare in due la Liguria per settimane, e se la collina del basilico di Prà decide di franare di un metro possiamo scordarci di spostarci in auto tra Genova e Savona.
Ecco perché la notizia di un porto con più traffici e più intelligente è una buona notizia solo se si leggono questi dati coniugandoli al futuro. L’implementazione delle pratiche doganali ha fatto un mezzo miracolo, e altrettanto potrà fare una logistica più efficiente e una sburocratizzazione delle procedure, che gli operatori chiedono a gran voce da tempo. E poi? Dove finiranno quelle merci? Come si sposteranno? Mistero.
Il porto di Genova guarda in grande, con un progetto da 2 miliardi di euro che vuole spostare la diga a mare, ampliare il Vte, dare nuove vie d’accesso a navi sempre più grandi e capaci. E’ un progetto ambizioso, che ha la pecca (tipicamente italiana) di non aver ancora spiegato come intende finanziarsi, visto che il Governo finora ha fatto orecchie da mercante su qualunque priorità di investimento. Va capito: è troppo preoccupato di non scontentare la miriade di porti lillipuziani che affollano e coste italiane e la miriade di autorità portuali altrettanto lillipuziane che quotidianamente affollano il Ministero dei Trasporti a caccia di denaro per finanziare progetti al meglio inutili e al peggio dannosi per il Paese.
Ma se anche il Governo domani desse al porto di Genova due miliardi di euro, cosa cambierebbe sul fronte dei trasporti? Nulla. Avremmo anzi banchine con binari e treni, ma nessun nuovo sbocco per far defluire i traffici. Un collo di bottiglia che presto o tardi si manifesterà, rendendo vani investimenti e progetti per rendere gli scali più accessibili e funzionali. Alla porta ci sono quei competitor nord europei che già oggi fagocitano, come spiegano gli spedizionieri, quasi un milione di container diretti in Italia. Una cifra che forse si sta già erodendo, ma che senza soluzioni strutturali è destinata a tornare a crescere.
Ecco perché l’aumento dei traffici è una buona notizia, per ora, ma senza interventi concreti lo sarà solo per poco tempo.
porti e logistica
Il porto di Genova e il collo di bottiglia
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