Politica

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Marylin Fusco ride quando le chiedono se darà le dimissioni: “Essere indagati non vuole dire essere colpevoli”. Peccato che il suo partito in più occasioni sia stato più duro. Da Belsito a Scajola, dai vertici di Finmeccanica a Roberto Formigoni: Antonio di Pietro e i suoi non hanno risparmiato appelli alle dimissioni.

“Casi più gravi di quello della Fusco”, replica il capogruppo regionale Nicolò Scialfa: le indagini non sono tutte uguali, e nemmeno gli indagati.  E però Di Pietro l’anno scorso chiese le dimissioni di Claudio Scajola, che neppure aveva ricevuto un avviso di garanzia, sulla vicenda della casa al Colosseo. I suoi fanno quadrato intorno alla vicepresidente della Regione, che è anche moglie del deputato e coordinatore regionale Giovanni Paladini. “Difenderei allo stesso modo qualunque iscritto”, dice Scialfa.

Per ora in Liguria resta la botta dell’avviso di garanzia a uno degli esponenti di spicco del partito. “Magari finirà con l’essere una botta positiva – dice Scialfa – il partito capirà che il giustizialismo è pericoloso perché può colpire tutti, magari anche per un dispetto politico”.

Parole ragionevoli, quelle di Scialfa, che però cozzano con la storia anche recente del suo partito. Se le stesse parole le avesse pronunciate un esponente del Pdl, magari ex socialista, lo avrebbero tacciato di essere un nostalgico della “Milano da bere”. E invece dopo l’indagine che ha toccato Fusco escono dalla bocca dei dipietristi, che si scoprono garantisti a 24 carati: “Invocare le dimissioni per ogni indagato può essere rischioso, perché le inchieste possono toccare tutti, e essere indagati non vuol dire essere colpevoli”, è il mantra ripetuto negli uffici della Regione.

Ora bisognerà spiegarlo ad Antonio Di Pietro, che sul suo blog qualche mese fa scriveva polemicamente sull’ennesima inchiesta che toccava un politico: “Non si dimette mai nessuno”. Decisamente profetico.